lunedì 28 ottobre 2019

CLASSIFICA? QUALE CLASSIFICA?


Finito il primo Torneo di Superba Rugby Genova bevo la terza birra offerta da un papà avversario e anche se chiacchiero i miei pensieri ripercorrono le mille emozioni, le mille situazioni, le mille decisioni, i miliardi di parole, sorrisi, urli, esultanze, sorrisi, pianti, preoccupazioni della giornata.
Ed ecco una voce da dietro che chiede: "Ma quanto siamo arrivati in classifica?".

Quale classifica? -  mi chiedo tra me e me. Fingo di non aver sentito ma dentro di me organizzo una risposta.

Quella della Società?
la Società ha portato una trentina di bimbi e famiglie a giocare un torneo e ora li vede gasati, felici, uniti, contenti della loro scelta e fiduciosi in un futuro tutto ovale. E il futuro di una Società sono i bambini e le loro famiglie.

Quella dei genitori? ogni genitore ha dentro di sé la chiarissima percezione di quanto il proprio bimbo sia cresciuto in termini di coraggio, intraprendenza, capacità motorie, relazioni sociali con i compagni, con gli allenatori, con gli avversari, con gli arbitri. Ogni scambio di battute con ciascun genitore ci conferma che ogni genitore è soddisfatto di quello che ha visto fare al proprio bimbo. Chi si è emozionato, chi ha gioito, chi si è stupito, chi si è goduto lo spettacolo. Insomma, un successo.

Quella degli allenatori? ogni allenatore vive questi appuntamenti come una cartina tornasole del proprio lavoro. Vuol capire se ha lavorato bene, se i suoi bimbi sanno affrontare un impegno così complesso e denso di novità, se quello che ha insegnato tecnicamente ha dato i suoi frutti, se i bimbi hanno saputo applicare quello che hanno imparato, se le altre società hanno fatto fare ai loro bimbi passi avanti differenti da quelli che hanno fatto i suoi, se il rapporto con i genitori è stato impostato in maniera corretta affinché in un momento così complesso le interazioni genitore-bimbo-allenatore siano state positive e costruttive. Ripenso alle nostre squadre, fatte per essere equilibrate, per dare spazio a tutti, per far crescere tutti. So che alcune Società fanno i "dream team" mettendo in campo i migliori, ma se si fa così si lascia indietro qualcuno e questo nel rugby, o almeno nel mini-rugby, non si fa. Si appaga un po' di vanità. La nostra. Ma non siamo qui per noi stessi ma per i bimbi.

Quella del gruppo? ogni leva, ogni settore giovanile vive di energia, di gruppo, di relazioni. Se i genitori diventano amici e hanno chiaro il progetto educativo della Società e gli Allenatori nasce un ambiente positivo nel quale tutte le figure si danno un rinforzo reciproco e chi ne beneficia sono soprattutto i bimbi. Mi volto e vedo sorrisi, baci, strette di mano, abbracci, birrozzi, salami affettati, gente che aiuta, che si aiuta, pacche sulle spalle, gioia. Il miglior dono che possiamo fare ai nostri bimbi è costruire ambienti nei quali crescere con serenità. La U6, la U8 e la futura U10 sono questo. Stiamo lavorando per loro e mi sembra che tutto stia funzionando bene.

Quella del Torneo vero e proprio?
Ah si ..... credo che ci sia anche una classifica ufficiale, anzi no, da quest'anno non c'è più. Vedete un po' se la trovate su qualche foglio sdrucito. Io non ce l'ho. Chiedete ai bimbi. Mi hanno tutti detto che hanno giocato una finale e che l'hanno vinta.
Io credo di più ai bambini che agli adulti, quindi mi sa che è andata bene.


Federico Ghiglione - Pedagogista
Resp. progetto PROFESSIONE PAPA'
Resp. U6, U8, U10 SUPERBA RUGBY GENOVA
Resp. RUGBYTOTS Genova
www.professionepapa.it

martedì 6 agosto 2019

LO STRAPPO DI HORACIO


LO STRAPPO

C’era una volta, un bambino che si chiamava Horacio. Quando andava a scuola con la mamma passava davanti ad un campetto dove dei bambini giocavano con una palla ovale.
Chi la calciava per aria, chi la teneva stretta tra le braccia, chi la passava ad un amico. Ogni tanto qualcuno la prendeva e cominciava a correre, e tutti gli correvano dietro per fermarlo. Alcuni cercavano di riconquistare la palla, altri invece lo aiutavano.
Horacio osservava che il bambino con la palla correva verso una parte del campo aiutato dai suoi compagni,  e gli altri, cercavano di fermarlo e di prendergli il pallone.
Non era importante che il bambino che aveva il pallone in mano dovesse arrivare in fondo al campo, ma che ci arrivasse il pallone: bastava passare il pallone ad un compagno libero, il quale ci riprovava.
Ma cosa c’era di così importante in fondo al campo da volerci a tutti i costi portare il pallone? Il bambino guardò con attenzione e non vide nulla. Non c’era una porta, non c’era un cesto, non c’era una rete. Niente! Che mistero.

Un giorno venne il nonno a prenderlo. Il nonno acconsentì ad una lunga sosta e lì Horacio fece altre scoperte: il bambino che aveva il pallone tra le mani, quando riusciva a  scappare dalle grinfie degli avversari, arrivato in fondo al campo, portava la palla a terra e toccava il terreno. A volte faceva un vero e proprio tuffo con la palla tra le mani, altre volte, correndo si chinava verso terra e faceva toccare il pallone al di là di una riga che delimitava il fondo del campo.
Qualcuno esclamava: Meta! Quello doveva essere il nome del goal.

Ma come facevano tutti quei bambini ad azzuffarsi senza arrabbiarsi? Le volte che aveva visto zuffe di quel genere era stato in occasione di una lite, i bambini quella volta erano arrabbiati e dicevano tante parolacce, i genitori erano arrivati e avevano sgridato tutti e li avevano fatti smettere.
In quel campo invece erano tutti tranquilli, ci si poteva azzuffare ma non ci si doveva arrabbiare e nessuno dei genitori sgridava i bambini che lo facevano. Figo!

Nessuno se la prendeva semplicemente ci si azzuffava per avere il pallone, non perché si fosse arrabbiati con qualcuno. Strafigo!
Quindi ricapitolando, era importante avere il possesso della palla che doveva essere portata prima possibile dopo la linea in fondo al campo; non ci si doveva arrabbiare se tutti gli altri cercavano di conquistarla e nel caso ci si fosse trovati in difficoltà o bloccati si poteva fare affidamento sui compagni, passandogli la palla e affidando loro il compito di portare la palla in meta.

Horacio aveva capito quasi tutto. Questo gioco era una specie di sfida per conquistare il territorio e il segnale che eri riuscito a conquistarlo tutto era appoggiare il pallone alla fine del territorio. Figo!
Una volta, però, notò una cosa. Il bambino con la palla in mano passò la palla ad un suo compagno di squadra che si era messo a correre verso la linea di fondo così veloce che lo aveva superato e l’allenatore fischiò. Disse: “Avanti!”. Tutti si fermarono e la palla fu data all’altra squadra.

Quindi si poteva passare la palla solo in dietro. Che mistero!
Horacio guardò e riguardò, poi un giorno capì. I bambini a forza di aiutarsi a spingere e con questa regola scomoda che li obbligava a passarsi la palla in dietro, erano costretti a stare vicini, a stare insieme e quelli che lo facevano meglio vincevano.
Gli piacque e quindi chiese alla mamma e a papà di iscriverlo a Rugby.

La mamma sbiancò perché pensò che il suo bambino in quella zuffa non ce lo avrebbe mai voluto portare. Ne parlò col papà che fece finta di preoccuparsi dei possibili lividi che avrebbero in futuro disegnato il corpo del bambino, fece coraggio alla mamma e la convinse ad iscriverlo.

Con gli anni Horacio diventò un giocatore fortissimo. Fece tanti allenamenti e tante partite con la sua squadra. Si era innamorato di quella squadra e della sua maglia. Quella maglia era la sua pelle, quel campo era casa sua, quella squadra aveva rubato il suo cuore.
Un giorno però dovette cambiare squadra, cambiare campo, cambiare maglia.
Come avrebbe potuto non vestire più i colori della sua squadra!?
Fu dolorosissimo per lui farlo ma lo fece. Cambio squadra, campo, maglia.

Un giorno, in una partita importantissima, Horacio fece un’azione eccezionale. Prese la palla che un suo compagno gli aveva passato e corse verso la linea di meta.
Gli avversari cercavano di fermarlo ma lui era una furia. Il primo provò a placcarlo ma lui gli diede una botta così forte che lo fece ruzzolare via, un altro cercò di fermarlo ma Horacio con la mano lo allontanò facendolo cadere, poi ne arrivarono due assieme ma Horacio abbassò la testa e diede loro una cornata che li fece volare via come due fuscelli.
Il pubblico urlava, tutti erano increduli che ci potesse essere un giocatore così forte. Ma da dove proveniva questo fenomeno? Come faceva ad essere così forte?
Horacio continuava a correre e a sfondare, fino a che arrivarono gli ultimi tre avversari e tutti assieme cercarono di fermarlo. Uno lo placcò ad una gamba, uno cercò di bloccargli l’altra e uno – disperatamente – si attaccò alla sua maglia.
Horacio aumentò la forza, chiese un ultimo sforzo ai suoi muscoli giganti e spinse ancora di più. Le gambe erano bloccate dai due avversari, la maglia si stava allungando tenuta dal terzo avversario ma lui voleva fare meta.

Si lanciò verso la linea di meta con tutta la forza che gli rimaneva e mentre volava con la palla in mano si senti un rumore fortissimo.  “STRRAAAAAAAAAPPPPPPPPPPPPPPP”.
Horacio volò, schiacciò la palla in meta, e tutti i suoi compagni andarono a festeggiarlo. Horacio si rialzò sorridente con tutta la maglia strappata e tornò a centro campo correndo assieme ai suoi compagni.

A quel punto tutti scoprirono come mai Horacio era così forte.
Attraverso lo strappo della sua maglia tutti si accorsero che Horacio sotto la maglia della squadra per la quale giocava, portava ancora la maglia della squadra che aveva tanto amato e con la quale aveva cominciato ad amare il rugby e che gli aveva insegnato a giocare a rugby.

Horacio era forte perché aveva mantenuto nel cuore il ricordo della squadra dove era cresciuto, era forte perché non si era mai dimenticato di quanto la sua squadra di origine lo avesse fatto crescere, era forte perché aveva capito che anche da un dolore si può rinascere ancora più forti, era forte perché solo chi è capace di guardare indietro con amore e fiducia, riesce poi ad arrivare in meta con tutta la forza che ha.

mercoledì 6 marzo 2019

pillole - Cosa c'è nell'esperienza sportiva - Il confronto



Pillole - Cosa c'è nell'esperienza sportiva - Il confronto

Nelle prime leve, nei primi anni di sport, i bimbi vivono un’età che ha nell’istinto l’unico motore. Non c’è quasi mai la motivazione della competizione vera e propria, intesa come potrebbe intenderla un adulto o un ragazzino adolescente.Tuttavia, dal primo giorno di allenamento i bimbi fanno esperienza del confronto.
Confronto con i compagni - Si gioca a correre, e c’è un compagnetto che corre più veloce e qualche altro che corre più lento. Si gioca ad acchiapparsi e c’è quello rapido che ci riesce in un attimo e c’è anche quello che potrebbe provarci per tutto il giorno ma che non ci riuscirebbe mai. Si gioca a spingersi e c’è quello che cade subito e quello che sembra una roccia monolitica.

Velocemente il bimbo si costruisce una geografia delle forze in campo, delle capacità di tutti, della sua posizione all’interno di queste chiarissime gerarchie. E’ importantissimo che la famiglia e l’allenatore puntino il loro sforzo educativo nella valorizzazione dell’impegno del bimbo e non sul solo confronto con gli altri. Certamente diventa strategica la scelta dello sport giusto per lui. In questo la scelta dei genitori è decisiva.
Confronto con le regole – si arriva al campo, accompagnati da un genitore, da una tata, da un nonno, da un fratellone maggiore, ed il linguaggio improvvisamente cambia. Con il nonno e la tata si poteva urlare e fare i capricci, ma l’allenatore non vuole vedere certe scene. 
La famiglia che avrà fatto una buona “ginnastica” educativa a casa, avrà regalato al proprio bimbo un’attrezzatura adeguata per ambientarsi velocemente al nuovo ambiente.
Confronto con la collettività  – il bimbo arriva al campo convinto di essere il centro del mondo, il perno attorno al quale ruota tutto il sistema solare e si ritrova ad essere uno dei tanti. Improvvisamente la sua opinione, i suoi desideri, si annacquano nella collettività. Il suo unico modo di poter stare all’interno di quella comunità è essere uno dei tanti, sopportando la vertigine dell’irrilevanza ma percependo anche la forza dell’appartenenza. Che novità! Che smarrimento!
Questo tema è particolarissimo. I bimbi che hanno avuto maggiori attenzioni, contenimento, insegnamento, educazione, sono quelli più capaci di rimanere all’interno del gruppo, sopportando la minore visibilità che si ha in squadra rispetto che in famiglia.

Confronto con i propri limiti – il bimbo arriva motivatissimo all’allenamento, ha una voglia matta di giocare, non aspettava altro da giorni, ma ogni esercizio che fa lo pone di fronte ad una presa di coscienza sulle sue capacità fisiche, che ne ridisegna l’entusiasmo, incidendo positivamente o negativamente a seconda che le sue doti siano adatte ai compiti richiesti dall’allenatore e dallo sport scelto. Qui genitori e allenatore possono fare un gran bel lavoro.
Innanzitutto i genitori devono scegliere lo sport giusto. Si ho proprio detto “scegliere”. I genitori attenti scelgono per i loro figli.  Sono i genitori che decidono quanto alto deve essere il gradino da far salire al loro bambino per farlo crescere.
La scelta giusta sarà quella dove tutte le componenti sono soddisfacenti, perché serve a poco azzeccare la scelta dello sport, della società e avere l conforto di altri genitori, se poi non c’è feeling e stima con l’allenatore. L’allenatore sarà un partner educativo per un bel periodo di tempo quindi la sua scelta va fatta con oculatezza, un po’ come quando si sceglie un medico di famiglia, un pediatra, un dentista, un ginecologo.
Confronto con l’autorità – in campo c’è sempre qualcuno che comanda e la gestione di un gruppo sportivo non conosce democrazia, quasi mai. La cosa più dura da digerire è che questa persona non è infallibile. Il che vuol dire che oltre ad avere legittimamente le sue opinioni riguardo il comportamento, il rendimento, l’impegno e la crescita di ogni bimbo, questa persona potrebbe sbagliare, anzi, sbaglia sicuramente. 
Quello che ritengo profondamente istruttivo è l’esempio che una famiglia può dare nel gestire vicende che si mettono di traverso al sereno andamento dell’esperienza sportiva. Come ci si comporta di fronte ad una scelta dell’allenatore che sembra profondamente ingiusta, come ci si comporta di fronte ad un sopruso, di fronte ad un errore?
Qui noi genitori dobbiamo decidere da che parte vogliamo stare. Vogliamo essere i genitori “spazzaneve” oppure vogliamo essere i genitori “maestri di vita” che si fanno tremare i polsi in silenzio quando vedono il figlio inciampare nell’ostacolo e poi corrono al loro fianco a dare loro supporto, a offrirsi come fornitore di un’interpretazione, di una spiegazione di quello che è successo?
Di più. Nel caso in cui ci si trovi di fronte ad un vero e proprio sopruso o ad un’ingiustizia, il genitore deve decidere se portarsi a casa la vittoria nella irrilevante battaglia di vedere corretto un errore o sanzionata un’ingiustizia oppure se provare a vincere la ben più importante guerra di insegnare al proprio figlio a rimanere solido anche di fronte ad un imprevisto, a gestire la frustrazione che prova chi è nel giusto e viene penalizzato. Quel bimbo avrà molte più probabilità di sapersi comportare all’interno di una competizione molto tirata, mantenendo un buon grado di equilibrio invece di farsi trovare impreparato ed inadeguato.

Federico Ghiglione - Pedagogista
Resp. progetto PROFESSIONE PAPA'
Resp. U6, U8, U10 CUS Genova Rugby
Resp. RUGBYTOTS Genova
www.professionepapa.it

lunedì 25 febbraio 2019

pillole - Cosa c'è nell'esperienza sportiva? - L'autonomia


Cosa c'è nell'esperienza sportiva? - L'autonomia


Nel momento in cui un bimbo varca il cancello di un campo sportivo è solo. Vedo mamme che fanno fatica a salutare, vedo padri che accompagnano i figli fin dentro il campo, vedo nonni che restano in contatto verbale e visivo per tutto l’allenamento.
E’ normale. E’ umano. Non si sa chi è più preoccupato di quel distacco, l'adulto o il bimbo.

Ma niente, non si può far altro che fargli varcare il cancello del campo e lasciarlo da solo.
Che paura.

Ed ecco che il lavoro comincia. L’allenatore con le sue regole, con il suo linguaggio, con il suo stile, i bambini con le loro strategia di socializzazione. Una matassa nuova nella quale ogni bambino deve cominciare a navigare con le proprie forze.
Le regole della socializzazione, i metodi per fare amicizia, per entrare in contatto con gli altri bambini sono le stesse. Quello che cambia sono i valori in gioco. Eh si perché ogni mondo ha i suoi valori, ha i suoi punti di forza, che determinano chi vale di più e chi vale di meno.

L’elemento principale che determina le gerarchie nei gruppi di ragazzi che imparano è l’intelligenza, la capacità di apprendere, la vivacità nel cogliere gli insegnamenti. Chi ha maggiori doti in questo campo eccelle e diventa un leader.
C’è poi la capacità di leadership, quella che rende un ragazzino determinante all’interno del gruppo nei momenti di socializzazione, durante le ore libere, le ricreazioni, gli incontri fuori dalla scuola.  Generalmente queste persone hanno doti di empatia forte, sanno leggere le diverse personalità, sanno trovare il linguaggio adeguato per entrarci in contatto, sanno coglierne le sfaccettature necessarie per modulare il proprio comportamento in modo da far sentire tutti a loro agio.
Non è da sottovalutare anche, soprattutto nei gruppi di giovani atleti, la capacità di vivere all’interno delle regole. In due parole, tanto più i bambini saranno educati a rapportarsi ai “no”, tanto più sapranno ambientarsi con disinvoltura al mondo.

Questa meravigliosa qualità, dicevo, non solo non è da sottovalutare, ma è determinante per ottenere i buoni risultati nelle due aree sopra descritte. Un ragazzino che sa adeguarsi ai nuovi mondi con serenità, apprende con maggiore efficacia e socializza con più facilità.
Siccome non siamo in un mondo perfetto, e noi genitori non siamo per nulla perfetti, accade molto spesso che a bordo di quel campo ci sia un genitore che quel lavoro stia facendo  molta fatica a farlo. Anzi, spesso accade che il genitore porti il figlio al bordo di quel campo proprio perché sta cercando un alleato che lo aiuti a fare quel lavoro.

Si tratta quindi di capire che ruolo avrà il genitore in questa nuova esperienza. Il genitore ha grandissime responsabilità sulla scelta dell’ambiente, dello sport, degli educatori, perché un genitore sceglie in prima persona l’indirizzo e la direzione del progetto educativo del figlio, ma poi ne resta ai margini.

Mi spiego meglio. Ritengo fondamentale che il bimbo sia lasciato solo a rapportarsi con il nuovo ambiente, in maniera che abbia un ambito nel quale possa giocarsela da solo, smazzarsela da solo, fallire da solo, riabilitarsi da solo, avere successo da solo. Questa è la vera autonomia. Lasciare che il bimbo, in un ambiente sapientemente scelto e controllato, viva un’esperienza autonoma.
Il punto non è difendere il figlio da un’ingiustizia subita dall’allenatore o da un sopruso subito da un compagnetto, ma insegnargli strategie per uscirne migliori, più grandi, più maturi.

Mi spiego meglio. Credo che un bambino cresca di più se conosce, affronta e risolve un problema di bullismo all’interno di un gruppo sportivo nel quale c’è un allenatore che gli dà supporto, rispetto al toglierlo di corsa dalla squadra. Credo che un bambino cresca di più se deve rapportarsi ad un’esclusione dalla squadra, per esempio imparando a chiedere spiegazioni all’allenatore o cercando di capire quali siano le competenze necessarie a farsi scegliere, piuttosto che avere un padre che fa polemica con le scelte della Società.
Arrivo anche a dire che la vicenda sportiva non dovrebbe uscire dal perimetro del campo. Un bimbo che non si è comportato bene durante gli allenamenti e le partite e viene punito, non dovrebbe essere punito anche dai genitori e i genitori, se non convocati dall’allenatore, non dovrebbero preoccuparsi di portare le scuse all’allenatore.
Per intenderci al bambino andrà detto: “hai pensato che forse l’allenatore avrebbe potuto pensare questo e che sarebbe opportuno dirgli quest’altro?”, mentre non andrà mai detto “Vuoi che ci parli io con l’allenatore?”.
Siamo genitori, costruiamo, educhiamo, facciamo crescere. Non siamo spazzaneve che spianano la strada.
Nulla vieta poi, in separata sede, in via riservata e segreta, chiedere un colloquio con l’allenatore. Quel colloquio sarà il colloquio tra due soci, che assieme stanno collaborando alla costruzione della personalità di un piccolo uomo.

Federico Ghiglione - Pedagogista
Resp. progetto PROFESSIONE PAPA'
Resp. U6, U8, U10 CUS Genova Rugby
Resp. RUGBYTOTS Genova
www.professionepapa.it

sabato 9 febbraio 2019

pillole - Cosa c'è nell'esperienza sportiva? - La comunità


Cosa c’è nell’esperienza sportiva? - La comunità 

Ad uno sguardo veloce, un gruppo di bambini che giocano a rugby, altro non sono che un gruppo di bambini che stanno imparando a giocare a rugby. Ma la vicenda alla quale assistiamo e molto più articolata di quello che apparentemente può apparire.

Un bambino che viene iscritto in un corso di rugby, entra a far parte di una squadra, un gruppo di coetanei con i quali socializzare. Il bambino ha già un’esperienza di comunità, quella scolastica, ma le regole della socializzazione scolastica sono molto diverse da quelle in ambito sportivo. 
Può succedere così, che i bambini debbano ridisegnare le loro strategie di comunicazione e di socializzazione per adeguarsi ai nuovi equilibri. Entrando in un nuovo ambiente sociale che ha regole diverse di ingaggio e di assegnazione delle gerarchie, deve riorganizzare le sue strategie sociali, impararne delle nuove e misurarsi su un campo nuovo nel quale potrebbe non avere ancora le competenze per eccellere. Ecco allora che lo sport mostra il suo primo ambito di crescita personale, decisivo per l’arricchimento interiore del bambino.
Non è poi da sottovalutare anche la valenza di riequilibratore sociale che ha lo sport. Sono frequenti i casi di bambini che stentano a scuola e per questo vivono condizioni di insuccesso, frustrazione o emarginazione in ambito scolastico, che rifioriscono non appena vengo messi in un ambiente sportivo nel quale il linguaggio necessario per socializzare e per affermarsi è più consono al loro carattere.
Credo che i genitori dovrebbero essere molto interessati a questa parte di esperienza offerta dallo sport. Purtroppo la “vicenda” sportiva distrare molto l’attenzione dei genitori che si ritrovano a notare e sopravvalutare i risultati sportivi e il confronto tra la performance del figlio rispetto al resto della squadra, senza dare il giusto valore all’enorme bagaglio di esperienze che il bambino sta facendo nel gruppo.

Immaginiamoci per esempio un bimbo particolarmente piccolino in una squadra di rugby, obbligato a trovare un modo di affermarsi in squadra. 
Immaginiamoci un bimbo grande e grosso, che si trova di colpo catapultato in cima alle classifiche del gradimento da parte dei compagni. 
Immaginiamoci poi situazioni più delicate, quelle per esempio in cui in squadra qualcuno approfitti della sua prestanza fisica per essere prepotente. Le difficoltà di una situazione del genere sono una palestra straordinaria per cominciare a fare un lavoro su tutto il gruppo. Il vantaggio in questo caso è dato dall’opportunità di poterlo fare in un ambiente non protetto ma controllato.
Ecco forse è bene chiarire questo: i bambini non vanno protetti ma vanno controllati. Se c’è un bullo in squadra ci si ferma, si analizza, si prova a ragionare, si prova a crescere. Molto meglio farlo in squadra, genitori e allenatori assieme, piuttosto che doversi confrontare con fatti accaduti per strada, da parte di sconosciuti, senza i nostri occhi a vedere.
Immaginiamoci anche situazioni in ambiti differenti ma ugualmente significative, come per esempio, la presenza di bimbi con deficit o disabilità in squadra. E’ chiaro a tutti che in questi casi può succedere di avere dei rallentamenti nel percorso didattico, ma se un piccolo rugbysta passerà  un po’ meno bene la palla perché abbiamo dovuto pensare di più ad un compagnetto meno fortunato, sono certo che quel bimbo non avrà compromesso la sua carriera sportiva, ma sicuramente avrà dentro di sé il seme della tolleranza, della comprensione e dell’altruismo, che lo aiuterà ad essere un uomo migliore.

Federico Ghiglione - Pedagogista
Resp. progetto PROFESSIONE PAPA'
Resp. U6, U8, U10 CUS Genova Rugby
Resp. RUGBYTOTS Genova
www.professionepapa.it

lunedì 28 gennaio 2019

pillole - Cosa i genitori NON dovrebbero fare riguardo lo sport dei figli - 9 regole utili




pillole - Cosa i genitori NON dovrebbero fare riguardo lo sport dei figli - 9 regole utili (in pillole)

 
1. NON SCEGLIERE - Un bimbo con buone doti di socializzazione è già capace di rapportarsi con un educatore che gli propone di cominciare a muovere il suo corpo seguendo regole e giochi adatti al suo grado di comprensione.  Ecco allora che NON SCEGLIERE lo sport già dai primi anni può diventare un errore. Bisogna avere il coraggio di SCEGLIERE anche perché ad un bimbo di due anni non si può chiedere che sport vorrà fare, né avrebbe senso farlo. Un bimbo di quell’età vuole solo giocare, quindi sarà la famiglia a scegliere per lui un'attività ludica che contenga, al suo interno, tutti gli insegnamenti necessari al suo sviluppo motorio.
2. FAR SCEGLIERE SOLO A LUI –  E allora chi sceglie? Tanto più il bimbo è piccolo, tanto più dovrà essere predominante la scelta dei genitori. Aspettare che SCELGA LUI potrebbe essere un errore. Le sue richieste sarebbero quasi certamente dettate da fattori di relazione (amichetti che fanno un certo sport) oppure scelte “consumistiche” e cioè stimolate da accattivanti pubblicità o notorietà sui media.
3. SCEGLIERE PER LUI – Cosa rischiamo noi genitori quando prendiamo il toro per le corna e scegliamo per i nostri figli? Il rischio dell’immedesimazione, della proiezione su di loro dei nostri desideri, dei nostri sogni. Accecati dai nostri sogni, dalle nostre aspettative, dalle nostre pregresse frustrazioni, rischiamo di forzare una scelta e di fare un errore i cui esiti potrebbero essere decisivi sul futuro piacere di nostro figlio di fare sport.
4. NON SPIEGARE LA SCELTAA volte è sufficiente dare un nome alle cose. E’ molto utile spiegare ai bimbi che si è scelta quell’attività perché servirà loro a imparare a correre, a crescere,  a giocare, a fare amicizia, a rispettare le regole. E’ sorprendente scoprire quanto sia rassicurante per bimbi piccoli poter dare un nome alle cose. Magari loro non hanno capito proprio bene tutte le nostre spiegazioni, ma quella cosa lì ha un nome, e se papà e mamma gli hanno dato un nome, vuol dire che è una cosa importante. E il loro sviluppo motorio, lo sport, è una cosa importante.
5. NON OSSERVARE IL BAMBINO –  Se c’è una cosa che un figlio non può sopportare, è di non essere visto. Non è detto che tutto funzioni: potrebbe esserci ansia prima degli allenamenti, continue richieste di rinunciare agli impegni, lamentele sulla scarsa socializzazione o ricorrenti screzi con i compagni, delusione o difficoltà nel rapporto con l’allenatore, distrazione eccessiva o addirittura estraniamento durante il gioco, svogliatezza nel linguaggio corporeo, pochi risultati di crescita nell’abilità del gioco. Ecco, solo quando si è fatto anche questo controllo, solo allora si può dire di aver messo nostro figlio al posto giusto.  
6. NON DELEGARE GLI ALLENATORI – l’idea giusta, il progetto giusto, l’ambiente giusto hanno bisogno delle persone giuste. Delegare, fidarsi, lasciar fare a chi è del mestiere, non invadere il campo nel quale spesso non si è competenti, ma che soprattutto ha bisogno della assenza dei genitori. Se si progetta un piano di sviluppo nel quale il bambino cresca in termini sia fisici che in termini di autonomia e socializzazione, bisogna che i genitori abbiano il coraggio di permettere che questo avvenga in un ambiente nel quale sia il bimbo a gestire tutte le dinamiche delle nuove relazioni. Il genitore competente, una volta fatta la sua scelta, si fa da parte.
7. NON SOVRAPPORSI ALL'ALLENATORE – Il genitore competente quindi non fa l'educatore della Società, non dà giudizi sulla bontà delle regole del Club. Il genitore competente non fa nemmeno l’allenatore, quindi non mette becco nei sistemi di allenamento, nella programmazione didattica, nel programma agonistico, nelle scelte tecniche, nelle scelte disciplinari.
8. CONFONDERE I CONFINI SPORT/FAMIGLIA – Se proprio vogliamo essere pignoli, il genitore competente dovrebbe non confondere i confini dell’esperienza sportiva, dalle vicende famigliari. Se in squadra l’Allenatore ha redarguito il bimbo o gli ha inflitto una punizione, non è necessario che la famiglia rincari la dose punendo a sua volta il bimbo … per non essersi comportato bene ad allenamento.
9. CHIEDERE RISULTATI AL FIGLIO  – Ed infine il consiglio più prezioso. Non chiedete risultati ai figli. “Fammi un goal”, “Fammi una meta”, “Vinci per me”, sono frasi che l’istinto ci fa uscire dalla bocca quotidianamente ma che dobbiamo correggere. “Divertiti”, “Impegnati più che puoi”, “Dai tutto quello che hai”, “Non vedo l’ora di vederti giocare”, “Fammi vedere quello che hai imparato”, “Sono contento di vederti con i tuoi compagni e la tua maglia”, sono frasi che fanno sentire il nostro entusiasmo e che hanno il meraviglioso pregio di far capire che la nostra felicità e la nostra soddisfazione è legata al fatto di potere essere li con loro e guardarli giocare, senza alcun interesse per i risultati che conseguiranno.  

Federico Ghiglione - Pedagogista
Resp. progetto PROFESSIONE PAPA'
Resp. U6, U8, U10 CUS Genova Rugby
Resp. RUGBYTOTS Genova
www.professionepapa.it

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lunedì 21 gennaio 2019

pillole - Quello che i genitori dovrebbero fare riguardo lo sport dei figli


pillole - Quello che i genitori dovrebbero fare riguardo lo sport dei figli
 
I genitori hanno sicuramente un progetto per i loro figli. Si sono confrontati a lungo su ciascuna scelta, hanno in corso un cantiere gigantesco dal quale esce quotidianamente il prodotto dei loro ragionamenti riguardo la crescita del loro bambino.
Un bambino ha bisogno di genitori che scelgano. Questo non significa che l’educazione di un figlio sia fatta di scelte singole, rigide e definitive, forse è più giusto dire che il progetto educativo prenderà forma grazie ad un’infinità incessante di scelte.
Una cosa però è certa: una scelta pensata, analizzata e condivisa va sostenuta con fermezza. Gli avversari di questa fermezza necessaria sono la volubilità dei bimbi, che spesso per un non nulla chiedono di saltare un allenamento, i capricci dei bimbi che a volte si impuntano per futili motivi e boicottano tutte le decisioni che li riguardano, e la fragilità di alcuni genitori che non hanno il polso per imporre le regole stabilite a costo di vivere una mezz'oretta di impopolarità coi figli.

Una buona scelta deriva da una efficace produzione di idee. Per esempio si decide di scegliere un’attività che prepari allo sport ma che mantenga  uno stile giocoso e divertente e non sia esasperato verso l’agonismo. Ottima idea.

Una buona scelta proviene da una buona osservazione, quindi, continuando nell'esempio, un'attività di preparazione allo sport potrà essere proposta a bimbi molto “fisici” da far sfogare, oppure molto timidi da far sbocciare, oppure molto “monelli” da far inquadrare, oppure poco socievoli da gettare nella mischia, oppure pigri da far staccare dal cellulare o dall’ipad. Bene, ottima scelta.

Bisogna trovare soluzioni che piacciano a tutti e due i genitori, che siano compatibili con il loro modi di pensare, con le loro abitudini, con i loro valori. Ci vuole molto equilibrio ma se si media, in genere, si fa un ottimo lavoro.

E il bimbo non ha voce in capitolo? Ogni scelta presa va monitorata, controllata, osservata e ridiscussa continuamente, ma i giudici di quella scelta rimangono sempre i genitori, non i bambini. Non si smette di andare al campo perché quel giorno il bimbo non vuole o perché fa un capriccio o perché il bimbo lamenta alcune difficoltà. Si smette di andare al campo perché, valutato, osservato e discusso come sta andando l’esperienza sportiva del bimbo nel suo complesso, si ritiene di dover cambiare la scelta che sta a monte di quell’impegno. In questa valutazione, osservazione e discussione si deve valutare se coinvolgere anche l’educatore/allenatore del bimbo per essere certi di aver valutato ogni variabile e per avere un punto di vista esterno alla famiglia.

Ecco, riassumendo, se devo dare un consiglio ai genitori dico: scegliete uno sport che vi convinca, con degli educatori che vi convincano, con un progetto che vi convinca; osservate vostro figlio e decidete se quel progetto fa per lui, prendete la decisione di iscriverlo e mantenete con fermezza l’impegno. La bontà della scelta la sapete valutare voi, non lui. Gli regalerete la più importante vittoria nella sfida della sua formazione.

Dopodiché osservate la sua risposta nel tempo, tenetevi in contatto con gli educatori/allenatori. Sarete sicuramente in grado di capire se la vostra scelta è corretta o va cambiata. E comunque comportandovi in maniera ferma avrete passato l’idea di una coppia di genitori che sanno scegliere, sanno modificare il loro punto di vista e che comunque vogliono che gli impegni si rispettino.

Federico Ghiglione - Pedagogista
Resp. progetto PROFESSIONE PAPA'
Resp. U6, U8, U10 CUS Genova Rugby
Resp. RUGBYTOTS Genova
www.professionepapa.it



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lunedì 14 gennaio 2019

pillole - Da un'idea al Rugby


pillole - Da un'idea al Rugby

Sono un Pedagogista - sposato, ho tre figli maschi (17,14,8).
Da quindici anni studio e mi occupo di famiglie, di bambini, di educazione, ma soprattutto mi occupo di papà.

Gli studi
Già dagli studi alla Facoltà di Scienze della Formazione di Genova, iniziati alla fine dei miei trent’anni, ho cominciato ad accarezzare l’idea di fare andare di pari passo la mia vita con i miei studi ed i miei interessi. E’ stata un’esperienza meravigliosa, arricchente ma anche facilitata dalla pratica quotidiana.
Allora perché non continuare? Ed ecco allora il Master biennale in Mediazione Familiare Sistemica ed il Master triennale in Counseling Sistemico.

I progetti
Il problema però non era soltanto svelare ai papà la mappa del tesoro affinché lo trovassero.
Nacquero quindi tre progetti: il Daddy Camp, i Corsi sulla Genitorialità e sulla Paternità ed il progetto Sport.

Il Daddy Camp
Il Daddy Camp, (ormai giunto alla 10^ edizione) è una festa che ogni anno dà la possibilità ai papà di giocare con i loro figli sfruttando le proposte offerte dalle Associazioni che si occupano di attività extrascolastiche, quindi sport, cultura, spettacolo, lingue, creatività, musica. I papà passano la giornata con i loro figli e – vedendoli giocare – anzi giocando con loro, hanno la possibilità di vedere con i loro occhi quali siano le vere inclinazioni ed i gusti dei loro bambini, ed evitare quindi l’errore tipico dei padri di proporre sempre e soltanto attività scelte attingendo dalla propria esperienza personale o dalle proprie aspirazioni magari frustrate in gioventù.
I Corsi e gli incontri
I Corsi sulla Genitorialità invece sono nati grazie alla sensibilità dell’Istituto Giannina Gaslini, che nella persona della d.ssa Rossana Fiorentino e dell’allora Primario di Ginecologia dr. Bentivoglio, hanno deciso di inserire nel percorso di formazione per le famiglie che si avvicinavano alla nascita del bimbo, un incontro che avesse per argomento centrale l’evoluzione delle dinamiche di coppia con la nascita del primo figlio. Il Corso si svolge da 9 anni una volta al mese con una presenza media di 15/20 coppie al mese, quindi ho la consapevolezza e la soddisfazione di aver trasferito una buona parte del mio sapere e del mio entusiasmo a circa n.2.000 famiglie, ma ciò che più conta a n.2.000 papà, i quali hanno trovato finalmente l’occasione di parlare di genitorialità sentendosi coinvolti, sentendosi parte del sistema, sentendosi protagonisti attivi.

Il libro
Il Corso è stato notato da Einaudi con la quale ho pubblicato il libro che ne tratta i contenuti: I papà spiegati alle mamme (Einaudi, 2015). n.4.000 copie vendute ad oggi.
Il Corso pratico per Papà
Dopo pochi anni abbiamo ottenuto di fare anche il Corso Pratico per neo Papà. Imparare a tenere in braccio un bimbo, lavarlo, cambiare il pannolino, dare le medicine, prendersene cura in sicurezza, sapergli parlare, saperlo toccare, saperlo capire. Dopo il Corso il papà sarà unochehafattoilcorso, mica pizza e fichi.
Lo sport - Rugbytots
Nell’inseguimento ai papà, non potevo che finire nel mondo dello sport. Anche il papà più assente, distratto e pelandrone, quando si tratta di sport, entra in scena. E li trova Rugbytots. L’attività motoria con la palla ovale, inventata in Inghilterra da un genio che voleva far giocare suo figlio con gli amichetti e che sta diventando il punto di riferimento per migliaia di famiglie in tutta Italia (io ho la licenza per la città di Genova).
Il Rugby
Ed ecco arrivare i primi numeri anche nei bimbi. In quattro anni di Rugbytots abbiamo coinvolto sempre più bimbi negli Asili privati di Genova e nelle nostre palestre fino a destare l’interesse del Cus Genova Rugby con il quale è nata una proficua collaborazione. Da ormai quattro stagioni, siamo diventati i responsabili del Settore Giovanile del Cus Genova Rugby, leve U6, U8, U10, che alleniamo seguendo il programma F.I.R. utilizzando l’esperienza, le modalità e la metodologia che abbiamo sviluppato in ambito Rugbytots.

Federico Ghiglione - Pedagogista
Resp. progetto PROFESSIONE PAPA'
Resp. U6, U8, U10 CUS Genova Rugby
Resp. RUGBYTOTS Genova
www.professionepapa.it

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