giovedì 7 maggio 2020

Educatori al tempo del Coronavirus - Rigore e leggerezza




Educatori al tempo del Coronavirus - Rigore e leggerezza
Il Coronavirus, che tutto ha sconvolto, ci ha imposto una vicinanza e una assiduità con i nostri figli che è una novità assoluta. L’assenza del normale ritmo di vita fa nascere nuove problematiche.
Prima di questa quarantena, per tutta la mattina e anche un pezzo del pomeriggio, i figli erano fuori dal nostro sguardo e poi, finiti i compiti, uscivano con gli amici, andavano a fare sport, avevano attività organizzate.
Gli interventi educativi erano concentrati nei momenti di convivenza, e questa ottima alternanza presenza\assenza ci aiutava a trovare un buon equilibrio.
Per noi genitori c’erano momenti in cui si “lavorava” sul bimbo ma c’erano anche momenti di libertà nei quali ci i poteva rilassare, perché intanto il figlio lo stava gestendo qualche capo scout, qualche allenatore, qualche maestro.
Per loro figli c’era il momento dei cazziatoni, ma poi c’erano i momenti per perdere tempo, per cazzeggiare senza uno scopo, per dire  stupidate in chat con gli amici, fare porcherie, dire parolacce, mettere musica a palla, svaligiare il frigo, senza avere i nostri occhi addosso.
Adesso siamo sempre gli uni sotto gli occhi dell’altro e non ci diamo tregua, tutto ci sembra disordinato, fuori controllo, alla deriva. Un po’ lo è. E’ vero.
Però attenzione. Attenzione a non pretendere troppo da noi stessi e da loro.
L’educazione è un processo lento che deve sedimentare, non è una mannaia che si abbatte sui figli e li forgia immediatamente. E non è nemmeno un’azione che ottiene la sua efficacia se propinata a raffica ad ogni minima occasione senza nessuno sconto. Tutt'altro, quindi, soprattutto in questo periodo cerchiamo di non avere fretta e di non essere asfissianti.
Facciamo in modo che questa assiduità insolita non ci renda insopportabili ed intransigenti. Insopportabili perché incapaci di alternare momenti educativi a momenti di leggerezza, oppure perché non lucidi nel capire che dopo una sgridata ci vuole il momento del disgelo e del recupero affettivo. Intransigenti perché incapaci di scegliere per bene le sole cose importanti su cui non passare sopra, lasciando correre le altre.
I compiti potranno essere fatti anche in orari fantasiosi, la sveglia potrà essere tollerata anche a metà mattinata, a nanna si potrà andare assieme ai grandi, ogni tanto si potrà mangiare davanti alla TV (l'elenco potrebbe essere infinito), e tutto questo apparente lassismo non comprometterà la crescita dei vostri figli o la vostra autorità di genitore ma sarà soltanto un’abile strategia di convivenza in quarantena.
Potrà essere un buon metodo ricorrere spesso alla frase: “vabbè, visto che siamo in quarantena facciamo uno strappo alla regola”, così si ribadisce la regola e ci si regala, tutti quanti, un po’ di relax.
E poi, facciamoci tutti un bell'esame di coscienza.
Rendiamoci conto di quanto questa quarantena ci abbia destabilizzato e che impegno ci sia voluto per trovare un nostro equilibrio e poi immaginiamoci questa difficoltà che effetti può avere avuto sulla vita di un bimbo o un ragazzino. 
Gli adulti siamo noi. Forza e coraggio.


Federico Ghiglione - Pedagogista
Resp. progetto PROFESSIONE PAPA'
Resp. U6, U8, U10 SUPERBA RUGBY GENOVA
Resp. RUGBYTOTS Genova
www.professionepapa.it

venerdì 1 maggio 2020

Bimbi al tempo del Coronavirus - Cosa ha tolto e cosa ha dato?



Bimbi al tempo del Coronavirus  - Cosa ha tolto e cosa ha dato?


Parlando di bimbi fino ai 10\12 anni nel dare/avere del Coronavirus, cosa stanno guadagnando e cosa stanno perdendo?

Cosa stanno guadagnando?
Guadagnano tempo per il gioco, per loro stessi, per dormire, per stare con papà, mamma e fratelli.

Infatti hanno l'occasione per sviluppare la fantasia del gioco libero che la vita frenetica degli impegni non concede loro; fanno l'esperienza della noia, spauracchio della vita frenetica ma invece terreno fertile della creatività; vivono con il loro reale ritmo sonno veglia, dettato non dagli orari scolastici o di lavoro ma dagli stati d'animo, dalla curiosità, dall'entusiasmo, dalla voglia di vivere; hanno un papà e una mamma a disposizione tutto il giorno per qualsiasi gioco, per riempire i buchi di solitudine, per ogni tipo di sfida, per ogni tipo di esibizione di bravura, per esplorare nuovi mondi, per parlarsi e giocare e non solo per farsi scarrozzare in auto, per giocare, sfidarsi, per esplorare, per farsi guardare, per essere visti.

Dovessi scegliere, la cosa che più mi salta agli occhi come opportunità di questa situazione nuova, difficile e imprevista, intendiamoci, è proprio l'opportunità di "vedersi". Reciprocamente. Volenti o nolenti, ci dobbiamo guardare, vedere, osservare, studiare. E questo per i bambini è meraviglioso.
Essere sicuri di essere visti.


Cosa stanno perdendo?
Stanno perdendo la socialità. Stanno perdendo il ritmo veglia/sonno, stanno perdendo il balance dovere/piacere.

Non avere più la possibilità di essere costretti a farcela da soli, a scuola, nello sport, nelle attività extrascolastiche, ai giardini, per strada, in casa dell'amichetto, toglie loro l'occasione di grandi sfide, affrontate le quali, si ritroverebbero cresciuti. In quell'allontanamento dalle loro sicurezze, dai loro punti di riferimento, dai loro ripari, sta il segreto della loro crescita. In quell'allontanamento dagli occhi vigili dei genitori, guadagnano la libertà di sbagliare senza che il genitore chioccia intervenga per spianargli la strada e, di nuovo, crescono.
Avere interrotto questo circuito virtuoso, è una perdita. Non ci si deve stupire, né preoccupare, se qualche bimbo in questo periodo regredisce un po'. Qualche pipì a letto che ricompare, qualche visita in più nel lettone, qualche difficoltà a prendere sonno da solo, qualche paura che riemerge. La comodità di riattivare le attenzioni dei genitori chioccia è più attraente dell'euforia di crescita.
La perdita del ritmo veglia/sonno se prima abbiamo provata a guardarla nella sua positività, può avere anche un rovescio della medaglia, costituendo una perdita di una vita più ordinata anche in termini di orari per l'alimentazione e per l'armonizzazione con la vita della famiglia in generale.
Anche la perdita del "balance" dovere/piacere, piccolo strumento educativo per far capire la necessità di occuparsi in maniera bilanciata di compiti e svaghi, crea un po' di confusione. In questo gli impegni scolastici stringenti della scuola ai tempi normali erano di per sè ottimi alleati. Adesso i doveri non hanno più una collocazione temporale stabile, ma diventano frutto di contrattazioni continue.

Dovessi scegliere la cosa che più mi salta agli occhi in termini di perdita in questa nuova situazione, sceglierei la mancanza di una pluralità di soggetti educativi a disposizione del bambino. Allenatori, Maestri, amichetti, Educatori, fornivano un'esperienza molto più varia e completa. In questo momento non hanno che noi genitori. Diamoci da fare.

Federico Ghiglione - Pedagogista
Resp. progetto PROFESSIONE PAPA'
Resp. U6, U8, U10 SUPERBA RUGBY GENOVA
Resp. RUGBYTOTS Genova
www.professionepapa.it

venerdì 24 aprile 2020

Genitori al tempo del Coronavirus - Prepariamoli all'ora d'aria




Genitori al tempo del Coronavirus - Prepariamoli all'ora d'aria

Fiumi di parole uscite dalle nostre bocche, fiumi di parole lette sull'argomento per cercare di navigare in queste acque nuove.
Già fare i genitori in questa era, è un'impresa titanica, visto che i modelli educativi con i quali siamo stati educati e che saremmo stati pronti ad usare ora che toccava a noi il ruolo del "maestro" sono ormai pressoché inutilizzabili.
Inutilizzabili non perché privi di valore, ma perché desueti.
Si vabbè, l'amore, l'onesta, l'amicizia, il lavoro, il dovere civico, rimangono dei best seller, ma appena ci si scosta da quelle strade maestre, ecco che ci si ritrova in vicoli dei quali non conosciamo il punto di arrivo.

Non c'è cosa più fastidiosa di avere un condottiero che non sa dove si debba andare e non c'è condizione peggiore per un condottiero di quella di chi non sa dove deve portare la sua truppa.
Tutti scontenti quindi, condottieri e truppa, soprattutto in questo periodo nel quale siamo finiti in una strada sconosciuta, e non c'è nessuna memoria storica che ci possa dare un'indicazione sulla direzione da prendere.

E chi lo sa come si deve vivere in una guerra senza bombe, in una società senza rapporti, dentro a relazioni senza contatto, in una socialità senza aggregazione?

Siamo finiti in un mondo nuovo del quale dobbiamo imparare le regole in contemporanea ai nostri figli e l'interpretazione delle regole e il suo rispetto sono vitali per la nostra e la loro sopravvivenza e per la sopravvivenza di tutti quelli che ci stanno attorno.
Siamo finiti in un mondo di regole il cui rispetto rigoroso è una condizione essenziale, quindi non abbiamo quel margine, quella tolleranza, quella gradualità che, nell'educare un bambino, sono necessarie affinché lui impari, si abitui, metabolizzi.
Siamo chiamati ad un intervento educativo forte, risoluto, fermo, molto poco adatto al nostro attuale stile genitoriale, che invece è basato sulla dialettica, sullo scambio e non sull'autorità indiscutibile.
Siamo chiamati, infine ad un intervento forte, senza l'aiuto dei nostri abituali partner educativi: scuola, sport, scout, parenti, tate, baby sitter.

A breve i nostri figli potranno uscire di nuovo.
Li abbiamo trattenuti in casa seguendo seriamente le indicazioni ministeriali; in molti casi ci siamo sentiti criticati per aver interpretato troppo severamente le regole o addirittura ci siamo sentiti incolpati della loro reclusione in casa.
Da quello che vivo personalmente in casa e da quello che sento nella comunità alla quale appartengo, i bimbi sono stati bravissimi.
Adesso dobbiamo renderci conto che il nostro lavoro non è finito ma - anzi - ha bisogno della stretta finale. I bambini devono essere preparati alle nuove regole di convivenza. Dobbiamo essere certi di portare i nostri figli al parco sapendo che loro sappiano le severissime regole da rispettare per poter guadagnarsi questo scampolo di libertà.
prima di mandare i nostri figli fuori di casa assicuriamoci che abbiano ben chiare le regole, i rischi, e il loro ruolo di responsabilità verso la salute degli altri.

Ho due immagini che credo utilizzerò.
In una vedo dei bambini ad una comunione, vestiti tutti col vestitino bello, elegante, pulito. Se uno di loro o alcuni di loro si sporcassero le mani con la cioccolata della torta sarebbero pienamente consapevoli di poter sporcare il loro vestito e quello degli altri.
In un'altra vedo la scena che avviene ai parco avventura, quando tutti in silenzio ascoltano le regole per agganciarsi ai cavi per non finire di sotto. La loro attenzione ed il loro scrupoloso rispetto delle regole sono la garanzia che, quando hanno la percezione del pericolo, i bambini sanno come comportarsi.

In bocca al lupo a noi genitori.

Federico Ghiglione - Pedagogista
Resp. progetto PROFESSIONE PAPA'
Resp. U6, U8, U10 SUPERBA RUGBY GENOVA
Resp. RUGBYTOTS Genova
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lunedì 28 ottobre 2019

CLASSIFICA? QUALE CLASSIFICA?


Finito il primo Torneo di Superba Rugby Genova bevo la terza birra offerta da un papà avversario e anche se chiacchiero i miei pensieri ripercorrono le mille emozioni, le mille situazioni, le mille decisioni, i miliardi di parole, sorrisi, urli, esultanze, sorrisi, pianti, preoccupazioni della giornata.
Ed ecco una voce da dietro che chiede: "Ma quanto siamo arrivati in classifica?".

Quale classifica? -  mi chiedo tra me e me. Fingo di non aver sentito ma dentro di me organizzo una risposta.

Quella della Società?
la Società ha portato una trentina di bimbi e famiglie a giocare un torneo e ora li vede gasati, felici, uniti, contenti della loro scelta e fiduciosi in un futuro tutto ovale. E il futuro di una Società sono i bambini e le loro famiglie.

Quella dei genitori? ogni genitore ha dentro di sé la chiarissima percezione di quanto il proprio bimbo sia cresciuto in termini di coraggio, intraprendenza, capacità motorie, relazioni sociali con i compagni, con gli allenatori, con gli avversari, con gli arbitri. Ogni scambio di battute con ciascun genitore ci conferma che ogni genitore è soddisfatto di quello che ha visto fare al proprio bimbo. Chi si è emozionato, chi ha gioito, chi si è stupito, chi si è goduto lo spettacolo. Insomma, un successo.

Quella degli allenatori? ogni allenatore vive questi appuntamenti come una cartina tornasole del proprio lavoro. Vuol capire se ha lavorato bene, se i suoi bimbi sanno affrontare un impegno così complesso e denso di novità, se quello che ha insegnato tecnicamente ha dato i suoi frutti, se i bimbi hanno saputo applicare quello che hanno imparato, se le altre società hanno fatto fare ai loro bimbi passi avanti differenti da quelli che hanno fatto i suoi, se il rapporto con i genitori è stato impostato in maniera corretta affinché in un momento così complesso le interazioni genitore-bimbo-allenatore siano state positive e costruttive. Ripenso alle nostre squadre, fatte per essere equilibrate, per dare spazio a tutti, per far crescere tutti. So che alcune Società fanno i "dream team" mettendo in campo i migliori, ma se si fa così si lascia indietro qualcuno e questo nel rugby, o almeno nel mini-rugby, non si fa. Si appaga un po' di vanità. La nostra. Ma non siamo qui per noi stessi ma per i bimbi.

Quella del gruppo? ogni leva, ogni settore giovanile vive di energia, di gruppo, di relazioni. Se i genitori diventano amici e hanno chiaro il progetto educativo della Società e gli Allenatori nasce un ambiente positivo nel quale tutte le figure si danno un rinforzo reciproco e chi ne beneficia sono soprattutto i bimbi. Mi volto e vedo sorrisi, baci, strette di mano, abbracci, birrozzi, salami affettati, gente che aiuta, che si aiuta, pacche sulle spalle, gioia. Il miglior dono che possiamo fare ai nostri bimbi è costruire ambienti nei quali crescere con serenità. La U6, la U8 e la futura U10 sono questo. Stiamo lavorando per loro e mi sembra che tutto stia funzionando bene.

Quella del Torneo vero e proprio?
Ah si ..... credo che ci sia anche una classifica ufficiale, anzi no, da quest'anno non c'è più. Vedete un po' se la trovate su qualche foglio sdrucito. Io non ce l'ho. Chiedete ai bimbi. Mi hanno tutti detto che hanno giocato una finale e che l'hanno vinta.
Io credo di più ai bambini che agli adulti, quindi mi sa che è andata bene.


Federico Ghiglione - Pedagogista
Resp. progetto PROFESSIONE PAPA'
Resp. U6, U8, U10 SUPERBA RUGBY GENOVA
Resp. RUGBYTOTS Genova
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martedì 6 agosto 2019

LO STRAPPO DI HORACIO


LO STRAPPO

C’era una volta, un bambino che si chiamava Horacio. Quando andava a scuola con la mamma passava davanti ad un campetto dove dei bambini giocavano con una palla ovale.
Chi la calciava per aria, chi la teneva stretta tra le braccia, chi la passava ad un amico. Ogni tanto qualcuno la prendeva e cominciava a correre, e tutti gli correvano dietro per fermarlo. Alcuni cercavano di riconquistare la palla, altri invece lo aiutavano.
Horacio osservava che il bambino con la palla correva verso una parte del campo aiutato dai suoi compagni,  e gli altri, cercavano di fermarlo e di prendergli il pallone.
Non era importante che il bambino che aveva il pallone in mano dovesse arrivare in fondo al campo, ma che ci arrivasse il pallone: bastava passare il pallone ad un compagno libero, il quale ci riprovava.
Ma cosa c’era di così importante in fondo al campo da volerci a tutti i costi portare il pallone? Il bambino guardò con attenzione e non vide nulla. Non c’era una porta, non c’era un cesto, non c’era una rete. Niente! Che mistero.

Un giorno venne il nonno a prenderlo. Il nonno acconsentì ad una lunga sosta e lì Horacio fece altre scoperte: il bambino che aveva il pallone tra le mani, quando riusciva a  scappare dalle grinfie degli avversari, arrivato in fondo al campo, portava la palla a terra e toccava il terreno. A volte faceva un vero e proprio tuffo con la palla tra le mani, altre volte, correndo si chinava verso terra e faceva toccare il pallone al di là di una riga che delimitava il fondo del campo.
Qualcuno esclamava: Meta! Quello doveva essere il nome del goal.

Ma come facevano tutti quei bambini ad azzuffarsi senza arrabbiarsi? Le volte che aveva visto zuffe di quel genere era stato in occasione di una lite, i bambini quella volta erano arrabbiati e dicevano tante parolacce, i genitori erano arrivati e avevano sgridato tutti e li avevano fatti smettere.
In quel campo invece erano tutti tranquilli, ci si poteva azzuffare ma non ci si doveva arrabbiare e nessuno dei genitori sgridava i bambini che lo facevano. Figo!

Nessuno se la prendeva semplicemente ci si azzuffava per avere il pallone, non perché si fosse arrabbiati con qualcuno. Strafigo!
Quindi ricapitolando, era importante avere il possesso della palla che doveva essere portata prima possibile dopo la linea in fondo al campo; non ci si doveva arrabbiare se tutti gli altri cercavano di conquistarla e nel caso ci si fosse trovati in difficoltà o bloccati si poteva fare affidamento sui compagni, passandogli la palla e affidando loro il compito di portare la palla in meta.

Horacio aveva capito quasi tutto. Questo gioco era una specie di sfida per conquistare il territorio e il segnale che eri riuscito a conquistarlo tutto era appoggiare il pallone alla fine del territorio. Figo!
Una volta, però, notò una cosa. Il bambino con la palla in mano passò la palla ad un suo compagno di squadra che si era messo a correre verso la linea di fondo così veloce che lo aveva superato e l’allenatore fischiò. Disse: “Avanti!”. Tutti si fermarono e la palla fu data all’altra squadra.

Quindi si poteva passare la palla solo in dietro. Che mistero!
Horacio guardò e riguardò, poi un giorno capì. I bambini a forza di aiutarsi a spingere e con questa regola scomoda che li obbligava a passarsi la palla in dietro, erano costretti a stare vicini, a stare insieme e quelli che lo facevano meglio vincevano.
Gli piacque e quindi chiese alla mamma e a papà di iscriverlo a Rugby.

La mamma sbiancò perché pensò che il suo bambino in quella zuffa non ce lo avrebbe mai voluto portare. Ne parlò col papà che fece finta di preoccuparsi dei possibili lividi che avrebbero in futuro disegnato il corpo del bambino, fece coraggio alla mamma e la convinse ad iscriverlo.

Con gli anni Horacio diventò un giocatore fortissimo. Fece tanti allenamenti e tante partite con la sua squadra. Si era innamorato di quella squadra e della sua maglia. Quella maglia era la sua pelle, quel campo era casa sua, quella squadra aveva rubato il suo cuore.
Un giorno però dovette cambiare squadra, cambiare campo, cambiare maglia.
Come avrebbe potuto non vestire più i colori della sua squadra!?
Fu dolorosissimo per lui farlo ma lo fece. Cambio squadra, campo, maglia.

Un giorno, in una partita importantissima, Horacio fece un’azione eccezionale. Prese la palla che un suo compagno gli aveva passato e corse verso la linea di meta.
Gli avversari cercavano di fermarlo ma lui era una furia. Il primo provò a placcarlo ma lui gli diede una botta così forte che lo fece ruzzolare via, un altro cercò di fermarlo ma Horacio con la mano lo allontanò facendolo cadere, poi ne arrivarono due assieme ma Horacio abbassò la testa e diede loro una cornata che li fece volare via come due fuscelli.
Il pubblico urlava, tutti erano increduli che ci potesse essere un giocatore così forte. Ma da dove proveniva questo fenomeno? Come faceva ad essere così forte?
Horacio continuava a correre e a sfondare, fino a che arrivarono gli ultimi tre avversari e tutti assieme cercarono di fermarlo. Uno lo placcò ad una gamba, uno cercò di bloccargli l’altra e uno – disperatamente – si attaccò alla sua maglia.
Horacio aumentò la forza, chiese un ultimo sforzo ai suoi muscoli giganti e spinse ancora di più. Le gambe erano bloccate dai due avversari, la maglia si stava allungando tenuta dal terzo avversario ma lui voleva fare meta.

Si lanciò verso la linea di meta con tutta la forza che gli rimaneva e mentre volava con la palla in mano si senti un rumore fortissimo.  “STRRAAAAAAAAAPPPPPPPPPPPPPPP”.
Horacio volò, schiacciò la palla in meta, e tutti i suoi compagni andarono a festeggiarlo. Horacio si rialzò sorridente con tutta la maglia strappata e tornò a centro campo correndo assieme ai suoi compagni.

A quel punto tutti scoprirono come mai Horacio era così forte.
Attraverso lo strappo della sua maglia tutti si accorsero che Horacio sotto la maglia della squadra per la quale giocava, portava ancora la maglia della squadra che aveva tanto amato e con la quale aveva cominciato ad amare il rugby e che gli aveva insegnato a giocare a rugby.

Horacio era forte perché aveva mantenuto nel cuore il ricordo della squadra dove era cresciuto, era forte perché non si era mai dimenticato di quanto la sua squadra di origine lo avesse fatto crescere, era forte perché aveva capito che anche da un dolore si può rinascere ancora più forti, era forte perché solo chi è capace di guardare indietro con amore e fiducia, riesce poi ad arrivare in meta con tutta la forza che ha.

mercoledì 6 marzo 2019

pillole - Cosa c'è nell'esperienza sportiva - Il confronto



Pillole - Cosa c'è nell'esperienza sportiva - Il confronto

Nelle prime leve, nei primi anni di sport, i bimbi vivono un’età che ha nell’istinto l’unico motore. Non c’è quasi mai la motivazione della competizione vera e propria, intesa come potrebbe intenderla un adulto o un ragazzino adolescente.Tuttavia, dal primo giorno di allenamento i bimbi fanno esperienza del confronto.
Confronto con i compagni - Si gioca a correre, e c’è un compagnetto che corre più veloce e qualche altro che corre più lento. Si gioca ad acchiapparsi e c’è quello rapido che ci riesce in un attimo e c’è anche quello che potrebbe provarci per tutto il giorno ma che non ci riuscirebbe mai. Si gioca a spingersi e c’è quello che cade subito e quello che sembra una roccia monolitica.

Velocemente il bimbo si costruisce una geografia delle forze in campo, delle capacità di tutti, della sua posizione all’interno di queste chiarissime gerarchie. E’ importantissimo che la famiglia e l’allenatore puntino il loro sforzo educativo nella valorizzazione dell’impegno del bimbo e non sul solo confronto con gli altri. Certamente diventa strategica la scelta dello sport giusto per lui. In questo la scelta dei genitori è decisiva.
Confronto con le regole – si arriva al campo, accompagnati da un genitore, da una tata, da un nonno, da un fratellone maggiore, ed il linguaggio improvvisamente cambia. Con il nonno e la tata si poteva urlare e fare i capricci, ma l’allenatore non vuole vedere certe scene. 
La famiglia che avrà fatto una buona “ginnastica” educativa a casa, avrà regalato al proprio bimbo un’attrezzatura adeguata per ambientarsi velocemente al nuovo ambiente.
Confronto con la collettività  – il bimbo arriva al campo convinto di essere il centro del mondo, il perno attorno al quale ruota tutto il sistema solare e si ritrova ad essere uno dei tanti. Improvvisamente la sua opinione, i suoi desideri, si annacquano nella collettività. Il suo unico modo di poter stare all’interno di quella comunità è essere uno dei tanti, sopportando la vertigine dell’irrilevanza ma percependo anche la forza dell’appartenenza. Che novità! Che smarrimento!
Questo tema è particolarissimo. I bimbi che hanno avuto maggiori attenzioni, contenimento, insegnamento, educazione, sono quelli più capaci di rimanere all’interno del gruppo, sopportando la minore visibilità che si ha in squadra rispetto che in famiglia.

Confronto con i propri limiti – il bimbo arriva motivatissimo all’allenamento, ha una voglia matta di giocare, non aspettava altro da giorni, ma ogni esercizio che fa lo pone di fronte ad una presa di coscienza sulle sue capacità fisiche, che ne ridisegna l’entusiasmo, incidendo positivamente o negativamente a seconda che le sue doti siano adatte ai compiti richiesti dall’allenatore e dallo sport scelto. Qui genitori e allenatore possono fare un gran bel lavoro.
Innanzitutto i genitori devono scegliere lo sport giusto. Si ho proprio detto “scegliere”. I genitori attenti scelgono per i loro figli.  Sono i genitori che decidono quanto alto deve essere il gradino da far salire al loro bambino per farlo crescere.
La scelta giusta sarà quella dove tutte le componenti sono soddisfacenti, perché serve a poco azzeccare la scelta dello sport, della società e avere l conforto di altri genitori, se poi non c’è feeling e stima con l’allenatore. L’allenatore sarà un partner educativo per un bel periodo di tempo quindi la sua scelta va fatta con oculatezza, un po’ come quando si sceglie un medico di famiglia, un pediatra, un dentista, un ginecologo.
Confronto con l’autorità – in campo c’è sempre qualcuno che comanda e la gestione di un gruppo sportivo non conosce democrazia, quasi mai. La cosa più dura da digerire è che questa persona non è infallibile. Il che vuol dire che oltre ad avere legittimamente le sue opinioni riguardo il comportamento, il rendimento, l’impegno e la crescita di ogni bimbo, questa persona potrebbe sbagliare, anzi, sbaglia sicuramente. 
Quello che ritengo profondamente istruttivo è l’esempio che una famiglia può dare nel gestire vicende che si mettono di traverso al sereno andamento dell’esperienza sportiva. Come ci si comporta di fronte ad una scelta dell’allenatore che sembra profondamente ingiusta, come ci si comporta di fronte ad un sopruso, di fronte ad un errore?
Qui noi genitori dobbiamo decidere da che parte vogliamo stare. Vogliamo essere i genitori “spazzaneve” oppure vogliamo essere i genitori “maestri di vita” che si fanno tremare i polsi in silenzio quando vedono il figlio inciampare nell’ostacolo e poi corrono al loro fianco a dare loro supporto, a offrirsi come fornitore di un’interpretazione, di una spiegazione di quello che è successo?
Di più. Nel caso in cui ci si trovi di fronte ad un vero e proprio sopruso o ad un’ingiustizia, il genitore deve decidere se portarsi a casa la vittoria nella irrilevante battaglia di vedere corretto un errore o sanzionata un’ingiustizia oppure se provare a vincere la ben più importante guerra di insegnare al proprio figlio a rimanere solido anche di fronte ad un imprevisto, a gestire la frustrazione che prova chi è nel giusto e viene penalizzato. Quel bimbo avrà molte più probabilità di sapersi comportare all’interno di una competizione molto tirata, mantenendo un buon grado di equilibrio invece di farsi trovare impreparato ed inadeguato.

Federico Ghiglione - Pedagogista
Resp. progetto PROFESSIONE PAPA'
Resp. U6, U8, U10 CUS Genova Rugby
Resp. RUGBYTOTS Genova
www.professionepapa.it

lunedì 25 febbraio 2019

pillole - Cosa c'è nell'esperienza sportiva? - L'autonomia


Cosa c'è nell'esperienza sportiva? - L'autonomia


Nel momento in cui un bimbo varca il cancello di un campo sportivo è solo. Vedo mamme che fanno fatica a salutare, vedo padri che accompagnano i figli fin dentro il campo, vedo nonni che restano in contatto verbale e visivo per tutto l’allenamento.
E’ normale. E’ umano. Non si sa chi è più preoccupato di quel distacco, l'adulto o il bimbo.

Ma niente, non si può far altro che fargli varcare il cancello del campo e lasciarlo da solo.
Che paura.

Ed ecco che il lavoro comincia. L’allenatore con le sue regole, con il suo linguaggio, con il suo stile, i bambini con le loro strategia di socializzazione. Una matassa nuova nella quale ogni bambino deve cominciare a navigare con le proprie forze.
Le regole della socializzazione, i metodi per fare amicizia, per entrare in contatto con gli altri bambini sono le stesse. Quello che cambia sono i valori in gioco. Eh si perché ogni mondo ha i suoi valori, ha i suoi punti di forza, che determinano chi vale di più e chi vale di meno.

L’elemento principale che determina le gerarchie nei gruppi di ragazzi che imparano è l’intelligenza, la capacità di apprendere, la vivacità nel cogliere gli insegnamenti. Chi ha maggiori doti in questo campo eccelle e diventa un leader.
C’è poi la capacità di leadership, quella che rende un ragazzino determinante all’interno del gruppo nei momenti di socializzazione, durante le ore libere, le ricreazioni, gli incontri fuori dalla scuola.  Generalmente queste persone hanno doti di empatia forte, sanno leggere le diverse personalità, sanno trovare il linguaggio adeguato per entrarci in contatto, sanno coglierne le sfaccettature necessarie per modulare il proprio comportamento in modo da far sentire tutti a loro agio.
Non è da sottovalutare anche, soprattutto nei gruppi di giovani atleti, la capacità di vivere all’interno delle regole. In due parole, tanto più i bambini saranno educati a rapportarsi ai “no”, tanto più sapranno ambientarsi con disinvoltura al mondo.

Questa meravigliosa qualità, dicevo, non solo non è da sottovalutare, ma è determinante per ottenere i buoni risultati nelle due aree sopra descritte. Un ragazzino che sa adeguarsi ai nuovi mondi con serenità, apprende con maggiore efficacia e socializza con più facilità.
Siccome non siamo in un mondo perfetto, e noi genitori non siamo per nulla perfetti, accade molto spesso che a bordo di quel campo ci sia un genitore che quel lavoro stia facendo  molta fatica a farlo. Anzi, spesso accade che il genitore porti il figlio al bordo di quel campo proprio perché sta cercando un alleato che lo aiuti a fare quel lavoro.

Si tratta quindi di capire che ruolo avrà il genitore in questa nuova esperienza. Il genitore ha grandissime responsabilità sulla scelta dell’ambiente, dello sport, degli educatori, perché un genitore sceglie in prima persona l’indirizzo e la direzione del progetto educativo del figlio, ma poi ne resta ai margini.

Mi spiego meglio. Ritengo fondamentale che il bimbo sia lasciato solo a rapportarsi con il nuovo ambiente, in maniera che abbia un ambito nel quale possa giocarsela da solo, smazzarsela da solo, fallire da solo, riabilitarsi da solo, avere successo da solo. Questa è la vera autonomia. Lasciare che il bimbo, in un ambiente sapientemente scelto e controllato, viva un’esperienza autonoma.
Il punto non è difendere il figlio da un’ingiustizia subita dall’allenatore o da un sopruso subito da un compagnetto, ma insegnargli strategie per uscirne migliori, più grandi, più maturi.

Mi spiego meglio. Credo che un bambino cresca di più se conosce, affronta e risolve un problema di bullismo all’interno di un gruppo sportivo nel quale c’è un allenatore che gli dà supporto, rispetto al toglierlo di corsa dalla squadra. Credo che un bambino cresca di più se deve rapportarsi ad un’esclusione dalla squadra, per esempio imparando a chiedere spiegazioni all’allenatore o cercando di capire quali siano le competenze necessarie a farsi scegliere, piuttosto che avere un padre che fa polemica con le scelte della Società.
Arrivo anche a dire che la vicenda sportiva non dovrebbe uscire dal perimetro del campo. Un bimbo che non si è comportato bene durante gli allenamenti e le partite e viene punito, non dovrebbe essere punito anche dai genitori e i genitori, se non convocati dall’allenatore, non dovrebbero preoccuparsi di portare le scuse all’allenatore.
Per intenderci al bambino andrà detto: “hai pensato che forse l’allenatore avrebbe potuto pensare questo e che sarebbe opportuno dirgli quest’altro?”, mentre non andrà mai detto “Vuoi che ci parli io con l’allenatore?”.
Siamo genitori, costruiamo, educhiamo, facciamo crescere. Non siamo spazzaneve che spianano la strada.
Nulla vieta poi, in separata sede, in via riservata e segreta, chiedere un colloquio con l’allenatore. Quel colloquio sarà il colloquio tra due soci, che assieme stanno collaborando alla costruzione della personalità di un piccolo uomo.

Federico Ghiglione - Pedagogista
Resp. progetto PROFESSIONE PAPA'
Resp. U6, U8, U10 CUS Genova Rugby
Resp. RUGBYTOTS Genova
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