LO STRAPPO
C’era una volta, un
bambino che si chiamava Horacio. Quando andava a scuola con la mamma passava
davanti ad un campetto dove dei bambini giocavano con una palla ovale.
Chi la calciava per aria, chi la
teneva stretta tra le braccia, chi la passava ad un amico. Ogni tanto qualcuno
la prendeva e cominciava a correre, e tutti gli correvano dietro per fermarlo. Alcuni
cercavano di riconquistare la palla, altri invece lo aiutavano. Horacio osservava che il bambino con la palla correva verso una parte del campo aiutato dai suoi compagni, e gli altri, cercavano di fermarlo e di prendergli il pallone.
Non era
importante che il bambino che aveva il pallone in mano dovesse arrivare in
fondo al campo, ma che ci arrivasse il pallone: bastava passare il pallone ad
un compagno libero, il quale ci riprovava.
Ma cosa c’era di così importante
in fondo al campo da volerci a tutti i costi portare il pallone? Il bambino
guardò con attenzione e non vide nulla. Non c’era una porta, non c’era un
cesto, non c’era una rete. Niente! Che mistero.
Un giorno venne il nonno a
prenderlo. Il nonno acconsentì ad una lunga
sosta e lì Horacio fece altre scoperte: il bambino che aveva il pallone tra le
mani, quando riusciva a scappare dalle
grinfie degli avversari, arrivato in fondo al campo, portava la palla a terra e
toccava il terreno. A volte faceva un vero e proprio tuffo con la palla tra le
mani, altre volte, correndo si chinava verso terra e faceva toccare il pallone
al di là di una riga che delimitava il fondo del campo.
Qualcuno esclamava: Meta! Quello
doveva essere il nome del goal.
Ma come facevano tutti quei bambini ad azzuffarsi senza
arrabbiarsi? Le volte che aveva visto zuffe di quel genere era stato in
occasione di una lite, i bambini quella volta erano arrabbiati e dicevano tante
parolacce, i genitori erano arrivati e avevano sgridato tutti e li avevano
fatti smettere.
In quel campo invece erano tutti
tranquilli, ci si poteva azzuffare ma non ci si doveva arrabbiare e nessuno dei
genitori sgridava i bambini che lo facevano. Figo!
Nessuno se la prendeva semplicemente ci si azzuffava per avere il pallone, non perché si
fosse arrabbiati con qualcuno. Strafigo!
Quindi ricapitolando, era
importante avere il possesso della palla che doveva essere portata prima
possibile dopo la linea in fondo al campo; non ci si doveva arrabbiare se tutti
gli altri cercavano di conquistarla e nel caso ci si fosse trovati in
difficoltà o bloccati si poteva fare affidamento sui compagni, passandogli la
palla e affidando loro il compito di portare la palla in meta.
Horacio aveva capito quasi tutto. Questo gioco
era una specie di sfida per conquistare il territorio e il segnale che eri
riuscito a conquistarlo tutto era appoggiare il pallone alla fine del
territorio. Figo!
Una volta, però, notò una cosa.
Il bambino con la palla in mano passò la palla ad un suo compagno di squadra
che si era messo a correre verso la linea di fondo così veloce che lo aveva
superato e l’allenatore fischiò. Disse: “Avanti!”. Tutti si fermarono e la
palla fu data all’altra squadra.
Quindi si poteva passare la palla solo in dietro. Che mistero!
Horacio guardò e riguardò, poi un giorno capì. I bambini a
forza di aiutarsi a spingere e con questa regola scomoda che li obbligava a
passarsi la palla in dietro, erano costretti a stare vicini, a stare insieme e quelli che lo facevano meglio vincevano.Gli piacque e quindi chiese alla mamma e a papà di iscriverlo a Rugby.
La mamma sbiancò perché pensò che il suo bambino in quella zuffa non ce lo avrebbe mai voluto portare. Ne parlò col papà che fece finta di preoccuparsi dei possibili lividi che avrebbero in futuro disegnato il corpo del bambino, fece coraggio alla mamma e la convinse ad iscriverlo.
Con gli anni Horacio diventò un giocatore
fortissimo. Fece tanti allenamenti e tante partite con la sua squadra. Si era
innamorato di quella squadra e della sua maglia. Quella
maglia era la sua pelle, quel campo era casa sua, quella squadra aveva rubato
il suo cuore.
Un giorno però dovette cambiare
squadra, cambiare campo, cambiare maglia. Come avrebbe potuto non vestire più i colori della sua squadra!?
Fu dolorosissimo per lui farlo ma lo fece. Cambio squadra, campo, maglia.
Un giorno, in una partita
importantissima, Horacio fece un’azione eccezionale. Prese la palla che un suo
compagno gli aveva passato e corse verso la linea di meta.
Gli avversari cercavano di
fermarlo ma lui era una furia. Il primo provò a placcarlo ma lui gli diede una
botta così forte che lo fece ruzzolare via, un altro cercò di fermarlo ma
Horacio con la mano lo allontanò facendolo cadere, poi ne arrivarono due
assieme ma Horacio abbassò la testa e diede loro una cornata che li fece volare
via come due fuscelli.Il pubblico urlava, tutti erano increduli che ci potesse essere un giocatore così forte. Ma da dove proveniva questo fenomeno? Come faceva ad essere così forte?
Horacio continuava a correre e a sfondare, fino a che arrivarono gli ultimi tre avversari e tutti assieme cercarono di fermarlo. Uno lo placcò ad una gamba, uno cercò di bloccargli l’altra e uno – disperatamente – si attaccò alla sua maglia.
Horacio aumentò la forza, chiese un ultimo sforzo ai suoi muscoli giganti e spinse ancora di più. Le gambe erano bloccate dai due avversari, la maglia si stava allungando tenuta dal terzo avversario ma lui voleva fare meta.
Si lanciò verso la linea di meta
con tutta la forza che gli rimaneva e mentre volava con la palla in mano si
senti un rumore fortissimo.
“STRRAAAAAAAAAPPPPPPPPPPPPPPP”.
Horacio volò, schiacciò la palla
in meta, e tutti i suoi compagni andarono a festeggiarlo. Horacio si rialzò
sorridente con tutta la maglia strappata e tornò a centro campo correndo
assieme ai suoi compagni.A quel punto tutti scoprirono come mai Horacio era così forte.
Attraverso lo strappo della sua maglia tutti si accorsero che Horacio sotto la maglia della squadra per la quale giocava, portava ancora la maglia della squadra che aveva tanto amato e con la quale aveva cominciato ad amare il rugby e che gli aveva insegnato a giocare a rugby.
Horacio era forte perché aveva
mantenuto nel cuore il ricordo della squadra dove era cresciuto, era forte
perché non si era mai dimenticato di quanto la sua squadra di origine lo avesse
fatto crescere, era forte perché aveva capito che anche da un dolore si può
rinascere ancora più forti, era forte perché solo chi è capace di guardare
indietro con amore e fiducia, riesce poi ad arrivare in meta con tutta la forza
che ha.
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