lunedì 25 febbraio 2019

pillole - Cosa c'è nell'esperienza sportiva? - L'autonomia


Cosa c'è nell'esperienza sportiva? - L'autonomia


Nel momento in cui un bimbo varca il cancello di un campo sportivo è solo. Vedo mamme che fanno fatica a salutare, vedo padri che accompagnano i figli fin dentro il campo, vedo nonni che restano in contatto verbale e visivo per tutto l’allenamento.
E’ normale. E’ umano. Non si sa chi è più preoccupato di quel distacco, l'adulto o il bimbo.

Ma niente, non si può far altro che fargli varcare il cancello del campo e lasciarlo da solo.
Che paura.

Ed ecco che il lavoro comincia. L’allenatore con le sue regole, con il suo linguaggio, con il suo stile, i bambini con le loro strategia di socializzazione. Una matassa nuova nella quale ogni bambino deve cominciare a navigare con le proprie forze.
Le regole della socializzazione, i metodi per fare amicizia, per entrare in contatto con gli altri bambini sono le stesse. Quello che cambia sono i valori in gioco. Eh si perché ogni mondo ha i suoi valori, ha i suoi punti di forza, che determinano chi vale di più e chi vale di meno.

L’elemento principale che determina le gerarchie nei gruppi di ragazzi che imparano è l’intelligenza, la capacità di apprendere, la vivacità nel cogliere gli insegnamenti. Chi ha maggiori doti in questo campo eccelle e diventa un leader.
C’è poi la capacità di leadership, quella che rende un ragazzino determinante all’interno del gruppo nei momenti di socializzazione, durante le ore libere, le ricreazioni, gli incontri fuori dalla scuola.  Generalmente queste persone hanno doti di empatia forte, sanno leggere le diverse personalità, sanno trovare il linguaggio adeguato per entrarci in contatto, sanno coglierne le sfaccettature necessarie per modulare il proprio comportamento in modo da far sentire tutti a loro agio.
Non è da sottovalutare anche, soprattutto nei gruppi di giovani atleti, la capacità di vivere all’interno delle regole. In due parole, tanto più i bambini saranno educati a rapportarsi ai “no”, tanto più sapranno ambientarsi con disinvoltura al mondo.

Questa meravigliosa qualità, dicevo, non solo non è da sottovalutare, ma è determinante per ottenere i buoni risultati nelle due aree sopra descritte. Un ragazzino che sa adeguarsi ai nuovi mondi con serenità, apprende con maggiore efficacia e socializza con più facilità.
Siccome non siamo in un mondo perfetto, e noi genitori non siamo per nulla perfetti, accade molto spesso che a bordo di quel campo ci sia un genitore che quel lavoro stia facendo  molta fatica a farlo. Anzi, spesso accade che il genitore porti il figlio al bordo di quel campo proprio perché sta cercando un alleato che lo aiuti a fare quel lavoro.

Si tratta quindi di capire che ruolo avrà il genitore in questa nuova esperienza. Il genitore ha grandissime responsabilità sulla scelta dell’ambiente, dello sport, degli educatori, perché un genitore sceglie in prima persona l’indirizzo e la direzione del progetto educativo del figlio, ma poi ne resta ai margini.

Mi spiego meglio. Ritengo fondamentale che il bimbo sia lasciato solo a rapportarsi con il nuovo ambiente, in maniera che abbia un ambito nel quale possa giocarsela da solo, smazzarsela da solo, fallire da solo, riabilitarsi da solo, avere successo da solo. Questa è la vera autonomia. Lasciare che il bimbo, in un ambiente sapientemente scelto e controllato, viva un’esperienza autonoma.
Il punto non è difendere il figlio da un’ingiustizia subita dall’allenatore o da un sopruso subito da un compagnetto, ma insegnargli strategie per uscirne migliori, più grandi, più maturi.

Mi spiego meglio. Credo che un bambino cresca di più se conosce, affronta e risolve un problema di bullismo all’interno di un gruppo sportivo nel quale c’è un allenatore che gli dà supporto, rispetto al toglierlo di corsa dalla squadra. Credo che un bambino cresca di più se deve rapportarsi ad un’esclusione dalla squadra, per esempio imparando a chiedere spiegazioni all’allenatore o cercando di capire quali siano le competenze necessarie a farsi scegliere, piuttosto che avere un padre che fa polemica con le scelte della Società.
Arrivo anche a dire che la vicenda sportiva non dovrebbe uscire dal perimetro del campo. Un bimbo che non si è comportato bene durante gli allenamenti e le partite e viene punito, non dovrebbe essere punito anche dai genitori e i genitori, se non convocati dall’allenatore, non dovrebbero preoccuparsi di portare le scuse all’allenatore.
Per intenderci al bambino andrà detto: “hai pensato che forse l’allenatore avrebbe potuto pensare questo e che sarebbe opportuno dirgli quest’altro?”, mentre non andrà mai detto “Vuoi che ci parli io con l’allenatore?”.
Siamo genitori, costruiamo, educhiamo, facciamo crescere. Non siamo spazzaneve che spianano la strada.
Nulla vieta poi, in separata sede, in via riservata e segreta, chiedere un colloquio con l’allenatore. Quel colloquio sarà il colloquio tra due soci, che assieme stanno collaborando alla costruzione della personalità di un piccolo uomo.

Federico Ghiglione - Pedagogista
Resp. progetto PROFESSIONE PAPA'
Resp. U6, U8, U10 CUS Genova Rugby
Resp. RUGBYTOTS Genova
www.professionepapa.it

sabato 9 febbraio 2019

pillole - Cosa c'è nell'esperienza sportiva? - La comunità


Cosa c’è nell’esperienza sportiva? - La comunità 

Ad uno sguardo veloce, un gruppo di bambini che giocano a rugby, altro non sono che un gruppo di bambini che stanno imparando a giocare a rugby. Ma la vicenda alla quale assistiamo e molto più articolata di quello che apparentemente può apparire.

Un bambino che viene iscritto in un corso di rugby, entra a far parte di una squadra, un gruppo di coetanei con i quali socializzare. Il bambino ha già un’esperienza di comunità, quella scolastica, ma le regole della socializzazione scolastica sono molto diverse da quelle in ambito sportivo. 
Può succedere così, che i bambini debbano ridisegnare le loro strategie di comunicazione e di socializzazione per adeguarsi ai nuovi equilibri. Entrando in un nuovo ambiente sociale che ha regole diverse di ingaggio e di assegnazione delle gerarchie, deve riorganizzare le sue strategie sociali, impararne delle nuove e misurarsi su un campo nuovo nel quale potrebbe non avere ancora le competenze per eccellere. Ecco allora che lo sport mostra il suo primo ambito di crescita personale, decisivo per l’arricchimento interiore del bambino.
Non è poi da sottovalutare anche la valenza di riequilibratore sociale che ha lo sport. Sono frequenti i casi di bambini che stentano a scuola e per questo vivono condizioni di insuccesso, frustrazione o emarginazione in ambito scolastico, che rifioriscono non appena vengo messi in un ambiente sportivo nel quale il linguaggio necessario per socializzare e per affermarsi è più consono al loro carattere.
Credo che i genitori dovrebbero essere molto interessati a questa parte di esperienza offerta dallo sport. Purtroppo la “vicenda” sportiva distrare molto l’attenzione dei genitori che si ritrovano a notare e sopravvalutare i risultati sportivi e il confronto tra la performance del figlio rispetto al resto della squadra, senza dare il giusto valore all’enorme bagaglio di esperienze che il bambino sta facendo nel gruppo.

Immaginiamoci per esempio un bimbo particolarmente piccolino in una squadra di rugby, obbligato a trovare un modo di affermarsi in squadra. 
Immaginiamoci un bimbo grande e grosso, che si trova di colpo catapultato in cima alle classifiche del gradimento da parte dei compagni. 
Immaginiamoci poi situazioni più delicate, quelle per esempio in cui in squadra qualcuno approfitti della sua prestanza fisica per essere prepotente. Le difficoltà di una situazione del genere sono una palestra straordinaria per cominciare a fare un lavoro su tutto il gruppo. Il vantaggio in questo caso è dato dall’opportunità di poterlo fare in un ambiente non protetto ma controllato.
Ecco forse è bene chiarire questo: i bambini non vanno protetti ma vanno controllati. Se c’è un bullo in squadra ci si ferma, si analizza, si prova a ragionare, si prova a crescere. Molto meglio farlo in squadra, genitori e allenatori assieme, piuttosto che doversi confrontare con fatti accaduti per strada, da parte di sconosciuti, senza i nostri occhi a vedere.
Immaginiamoci anche situazioni in ambiti differenti ma ugualmente significative, come per esempio, la presenza di bimbi con deficit o disabilità in squadra. E’ chiaro a tutti che in questi casi può succedere di avere dei rallentamenti nel percorso didattico, ma se un piccolo rugbysta passerà  un po’ meno bene la palla perché abbiamo dovuto pensare di più ad un compagnetto meno fortunato, sono certo che quel bimbo non avrà compromesso la sua carriera sportiva, ma sicuramente avrà dentro di sé il seme della tolleranza, della comprensione e dell’altruismo, che lo aiuterà ad essere un uomo migliore.

Federico Ghiglione - Pedagogista
Resp. progetto PROFESSIONE PAPA'
Resp. U6, U8, U10 CUS Genova Rugby
Resp. RUGBYTOTS Genova
www.professionepapa.it