Cosa c'è nell'esperienza sportiva? - L'autonomia
Nel momento in cui un bimbo varca il cancello di un campo
sportivo è solo. Vedo mamme che fanno fatica a salutare, vedo padri che
accompagnano i figli fin dentro il campo, vedo nonni che restano in contatto
verbale e visivo per tutto l’allenamento.
E’ normale. E’ umano. Non si sa chi è più preoccupato di
quel distacco, l'adulto o il bimbo.
Ma niente, non si può far altro che fargli varcare il
cancello del campo e lasciarlo da solo.
Che paura.
Ed ecco che il lavoro comincia. L’allenatore con le sue
regole, con il suo linguaggio, con il suo stile, i bambini con le loro
strategia di socializzazione. Una matassa nuova nella quale ogni bambino deve
cominciare a navigare con le proprie forze.
Le regole della socializzazione, i metodi per fare amicizia,
per entrare in contatto con gli altri bambini sono le stesse. Quello che cambia
sono i valori in gioco. Eh si perché ogni mondo ha i suoi valori, ha i suoi
punti di forza, che determinano chi vale di più e chi vale di meno.
L’elemento principale che determina le gerarchie nei gruppi
di ragazzi che imparano è l’intelligenza, la capacità di apprendere, la
vivacità nel cogliere gli insegnamenti. Chi ha maggiori doti in questo campo
eccelle e diventa un leader.
C’è poi la capacità di leadership, quella che rende un
ragazzino determinante all’interno del gruppo nei momenti di socializzazione,
durante le ore libere, le ricreazioni, gli incontri fuori dalla scuola. Generalmente queste persone hanno doti di empatia forte, sanno leggere
le diverse personalità, sanno trovare il linguaggio adeguato per entrarci in
contatto, sanno coglierne le sfaccettature necessarie per modulare il proprio
comportamento in modo da far sentire tutti a loro agio.
Non è da sottovalutare anche, soprattutto nei gruppi di
giovani atleti, la capacità di vivere all’interno delle regole. In due parole, tanto più i bambini saranno educati a
rapportarsi ai “no”, tanto più sapranno ambientarsi con disinvoltura al mondo.
Questa meravigliosa qualità, dicevo, non solo non è da
sottovalutare, ma è determinante per ottenere i buoni risultati nelle due aree
sopra descritte. Un ragazzino che sa adeguarsi ai nuovi mondi con serenità,
apprende con maggiore efficacia e socializza con più facilità.
Siccome non siamo in un mondo perfetto, e noi genitori non
siamo per nulla perfetti, accade molto spesso che a bordo di quel campo ci sia
un genitore che quel lavoro stia facendo
molta fatica a farlo. Anzi, spesso accade che il genitore porti il
figlio al bordo di quel campo proprio perché sta cercando un alleato che lo
aiuti a fare quel lavoro. Si tratta quindi di capire che ruolo avrà il genitore in questa nuova esperienza. Il genitore ha grandissime responsabilità sulla scelta dell’ambiente, dello sport, degli educatori, perché un genitore sceglie in prima persona l’indirizzo e la direzione del progetto educativo del figlio, ma poi ne resta ai margini.
Mi spiego meglio. Ritengo fondamentale che il bimbo sia
lasciato solo a rapportarsi con il nuovo ambiente, in maniera che abbia un
ambito nel quale possa giocarsela da solo, smazzarsela da solo, fallire da
solo, riabilitarsi da solo, avere successo da solo. Questa è la vera autonomia.
Lasciare che il bimbo, in un ambiente sapientemente scelto e controllato, viva
un’esperienza autonoma.
Il punto non è difendere il figlio da un’ingiustizia subita
dall’allenatore o da un sopruso subito da un compagnetto, ma insegnargli
strategie per uscirne migliori, più grandi, più maturi.
Mi spiego meglio. Credo che un bambino cresca di più se
conosce, affronta e risolve un problema di bullismo all’interno di un gruppo
sportivo nel quale c’è un allenatore che gli dà supporto, rispetto al toglierlo
di corsa dalla squadra. Credo che un bambino cresca di più se deve rapportarsi
ad un’esclusione dalla squadra, per esempio imparando a chiedere spiegazioni
all’allenatore o cercando di capire quali siano le competenze necessarie a
farsi scegliere, piuttosto che avere un padre che fa polemica con le scelte
della Società.
Arrivo anche a dire che la vicenda sportiva non dovrebbe
uscire dal perimetro del campo. Un bimbo che non si è comportato bene durante
gli allenamenti e le partite e viene punito, non dovrebbe essere punito anche
dai genitori e i genitori, se non convocati dall’allenatore, non dovrebbero
preoccuparsi di portare le scuse all’allenatore.
Per intenderci al bambino andrà detto: “hai pensato che forse l’allenatore
avrebbe potuto pensare questo e che sarebbe opportuno dirgli quest’altro?”,
mentre non andrà mai detto “Vuoi che ci parli io con l’allenatore?”.
Siamo genitori, costruiamo, educhiamo, facciamo crescere. Non
siamo spazzaneve che spianano la strada.Nulla vieta poi, in separata sede, in via riservata e segreta, chiedere un colloquio con l’allenatore. Quel colloquio sarà il colloquio tra due soci, che assieme stanno collaborando alla costruzione della personalità di un piccolo uomo.
Federico Ghiglione - Pedagogista
Resp. progetto PROFESSIONE PAPA'
Resp. U6, U8, U10 CUS Genova Rugby
Resp. RUGBYTOTS Genova
www.professionepapa.it