Cosa c’è nell’esperienza sportiva? - La comunità
Ad uno sguardo veloce, un
gruppo di bambini che giocano a rugby, altro non sono che un gruppo di bambini
che stanno imparando a giocare a rugby. Ma la vicenda alla quale assistiamo e molto più articolata
di quello che apparentemente può apparire.
Un bambino che viene iscritto in un corso di
rugby, entra a far parte di una squadra, un gruppo di coetanei con i quali
socializzare. Il bambino ha già un’esperienza di comunità, quella scolastica, ma
le regole della socializzazione scolastica sono molto diverse da quelle in
ambito sportivo.
Può succedere così, che i bambini debbano ridisegnare le loro
strategie di comunicazione e di socializzazione per adeguarsi ai nuovi
equilibri. Entrando in un nuovo ambiente sociale che ha regole diverse di ingaggio
e di assegnazione delle gerarchie, deve riorganizzare le sue strategie sociali,
impararne delle nuove e misurarsi su un campo nuovo nel quale potrebbe non
avere ancora le competenze per eccellere. Ecco allora che lo sport mostra il
suo primo ambito di crescita personale, decisivo per l’arricchimento interiore
del bambino.
Non è poi da sottovalutare anche la valenza di riequilibratore
sociale che ha lo sport. Sono frequenti i casi di bambini che stentano a scuola
e per questo vivono condizioni di insuccesso, frustrazione o emarginazione in
ambito scolastico, che rifioriscono non appena vengo messi in un ambiente
sportivo nel quale il linguaggio necessario per socializzare e per affermarsi è
più consono al loro carattere.
Credo che i genitori dovrebbero essere molto interessati a
questa parte di esperienza offerta dallo sport. Purtroppo la “vicenda” sportiva
distrare molto l’attenzione dei genitori che si ritrovano a notare e
sopravvalutare i risultati sportivi e il confronto tra la performance del
figlio rispetto al resto della squadra, senza dare il giusto valore all’enorme
bagaglio di esperienze che il bambino sta facendo nel gruppo.
Immaginiamoci per esempio un bimbo particolarmente piccolino
in una squadra di rugby, obbligato a trovare un modo di affermarsi in squadra.
Immaginiamoci un bimbo grande e grosso, che si
trova di colpo catapultato in cima alle classifiche del gradimento da parte dei
compagni.
Immaginiamoci poi situazioni più delicate, quelle per
esempio in cui in squadra qualcuno approfitti della sua prestanza fisica per
essere prepotente. Le difficoltà di una situazione del genere sono una palestra
straordinaria per cominciare a fare un lavoro su tutto il gruppo. Il vantaggio in questo caso è dato dall’opportunità di poterlo fare in un
ambiente non protetto ma controllato.
Ecco forse è bene chiarire questo: i
bambini non vanno protetti ma vanno controllati. Se c’è un bullo in squadra ci
si ferma, si analizza, si prova a ragionare, si prova a crescere. Molto meglio
farlo in squadra, genitori e allenatori assieme, piuttosto che doversi
confrontare con fatti accaduti per strada, da parte di sconosciuti, senza i
nostri occhi a vedere.
Immaginiamoci anche situazioni in ambiti differenti ma
ugualmente significative, come per esempio, la presenza di bimbi con deficit o
disabilità in squadra. E’ chiaro a tutti che in questi casi può succedere di
avere dei rallentamenti nel percorso didattico, ma se un piccolo rugbysta passerà un po’ meno bene la palla perché abbiamo
dovuto pensare di più ad un compagnetto meno fortunato, sono certo che quel
bimbo non avrà compromesso la sua carriera sportiva, ma sicuramente avrà dentro
di sé il seme della tolleranza, della comprensione e dell’altruismo, che lo
aiuterà ad essere un uomo migliore.Federico Ghiglione - Pedagogista
Resp. progetto PROFESSIONE PAPA'
Resp. U6, U8, U10 CUS Genova Rugby
Resp. RUGBYTOTS Genova
www.professionepapa.it
Bellissimo articolo Fede.
RispondiEliminaSempre più contenta di aver "scoperto" il rugby per Diego !