mercoledì 6 marzo 2019

pillole - Cosa c'è nell'esperienza sportiva - Il confronto



Pillole - Cosa c'è nell'esperienza sportiva - Il confronto

Nelle prime leve, nei primi anni di sport, i bimbi vivono un’età che ha nell’istinto l’unico motore. Non c’è quasi mai la motivazione della competizione vera e propria, intesa come potrebbe intenderla un adulto o un ragazzino adolescente.Tuttavia, dal primo giorno di allenamento i bimbi fanno esperienza del confronto.
Confronto con i compagni - Si gioca a correre, e c’è un compagnetto che corre più veloce e qualche altro che corre più lento. Si gioca ad acchiapparsi e c’è quello rapido che ci riesce in un attimo e c’è anche quello che potrebbe provarci per tutto il giorno ma che non ci riuscirebbe mai. Si gioca a spingersi e c’è quello che cade subito e quello che sembra una roccia monolitica.

Velocemente il bimbo si costruisce una geografia delle forze in campo, delle capacità di tutti, della sua posizione all’interno di queste chiarissime gerarchie. E’ importantissimo che la famiglia e l’allenatore puntino il loro sforzo educativo nella valorizzazione dell’impegno del bimbo e non sul solo confronto con gli altri. Certamente diventa strategica la scelta dello sport giusto per lui. In questo la scelta dei genitori è decisiva.
Confronto con le regole – si arriva al campo, accompagnati da un genitore, da una tata, da un nonno, da un fratellone maggiore, ed il linguaggio improvvisamente cambia. Con il nonno e la tata si poteva urlare e fare i capricci, ma l’allenatore non vuole vedere certe scene. 
La famiglia che avrà fatto una buona “ginnastica” educativa a casa, avrà regalato al proprio bimbo un’attrezzatura adeguata per ambientarsi velocemente al nuovo ambiente.
Confronto con la collettività  – il bimbo arriva al campo convinto di essere il centro del mondo, il perno attorno al quale ruota tutto il sistema solare e si ritrova ad essere uno dei tanti. Improvvisamente la sua opinione, i suoi desideri, si annacquano nella collettività. Il suo unico modo di poter stare all’interno di quella comunità è essere uno dei tanti, sopportando la vertigine dell’irrilevanza ma percependo anche la forza dell’appartenenza. Che novità! Che smarrimento!
Questo tema è particolarissimo. I bimbi che hanno avuto maggiori attenzioni, contenimento, insegnamento, educazione, sono quelli più capaci di rimanere all’interno del gruppo, sopportando la minore visibilità che si ha in squadra rispetto che in famiglia.

Confronto con i propri limiti – il bimbo arriva motivatissimo all’allenamento, ha una voglia matta di giocare, non aspettava altro da giorni, ma ogni esercizio che fa lo pone di fronte ad una presa di coscienza sulle sue capacità fisiche, che ne ridisegna l’entusiasmo, incidendo positivamente o negativamente a seconda che le sue doti siano adatte ai compiti richiesti dall’allenatore e dallo sport scelto. Qui genitori e allenatore possono fare un gran bel lavoro.
Innanzitutto i genitori devono scegliere lo sport giusto. Si ho proprio detto “scegliere”. I genitori attenti scelgono per i loro figli.  Sono i genitori che decidono quanto alto deve essere il gradino da far salire al loro bambino per farlo crescere.
La scelta giusta sarà quella dove tutte le componenti sono soddisfacenti, perché serve a poco azzeccare la scelta dello sport, della società e avere l conforto di altri genitori, se poi non c’è feeling e stima con l’allenatore. L’allenatore sarà un partner educativo per un bel periodo di tempo quindi la sua scelta va fatta con oculatezza, un po’ come quando si sceglie un medico di famiglia, un pediatra, un dentista, un ginecologo.
Confronto con l’autorità – in campo c’è sempre qualcuno che comanda e la gestione di un gruppo sportivo non conosce democrazia, quasi mai. La cosa più dura da digerire è che questa persona non è infallibile. Il che vuol dire che oltre ad avere legittimamente le sue opinioni riguardo il comportamento, il rendimento, l’impegno e la crescita di ogni bimbo, questa persona potrebbe sbagliare, anzi, sbaglia sicuramente. 
Quello che ritengo profondamente istruttivo è l’esempio che una famiglia può dare nel gestire vicende che si mettono di traverso al sereno andamento dell’esperienza sportiva. Come ci si comporta di fronte ad una scelta dell’allenatore che sembra profondamente ingiusta, come ci si comporta di fronte ad un sopruso, di fronte ad un errore?
Qui noi genitori dobbiamo decidere da che parte vogliamo stare. Vogliamo essere i genitori “spazzaneve” oppure vogliamo essere i genitori “maestri di vita” che si fanno tremare i polsi in silenzio quando vedono il figlio inciampare nell’ostacolo e poi corrono al loro fianco a dare loro supporto, a offrirsi come fornitore di un’interpretazione, di una spiegazione di quello che è successo?
Di più. Nel caso in cui ci si trovi di fronte ad un vero e proprio sopruso o ad un’ingiustizia, il genitore deve decidere se portarsi a casa la vittoria nella irrilevante battaglia di vedere corretto un errore o sanzionata un’ingiustizia oppure se provare a vincere la ben più importante guerra di insegnare al proprio figlio a rimanere solido anche di fronte ad un imprevisto, a gestire la frustrazione che prova chi è nel giusto e viene penalizzato. Quel bimbo avrà molte più probabilità di sapersi comportare all’interno di una competizione molto tirata, mantenendo un buon grado di equilibrio invece di farsi trovare impreparato ed inadeguato.

Federico Ghiglione - Pedagogista
Resp. progetto PROFESSIONE PAPA'
Resp. U6, U8, U10 CUS Genova Rugby
Resp. RUGBYTOTS Genova
www.professionepapa.it